“Natalia Ginzburg. Storia di una voce”, documentario di Sky Arte
Poi dicono che la
tecnologia sia un mostro, un'infima bestia che distrugge ogni poesia,
ogni guizzo di ispirazione, ogni esistenza. Non è così. Tutto
dipende da che uso ne fai.
Quest'oggi voglio
illustrarvi lo splendore di un documentario di Sky Arte che getta
luce sulla vita e le opere di una grande icona letteraria italiana:
Natalia Ginzburg, che molti di voi conosceranno per averla studiata a
scuola. Come spesso succede, i grandi autori si rivalutano da
“grandi”, e in questo caso è successo anche a me.
Il post in questione è
indirizzato a tutti gli scrittori in particolare, ma all'umanità in
generale, perché la peculiarità di Natalia Ginzburg, è quella di
aver trascorso decenni di vita immersa nel meglio e nel peggio della
storia contemporanea italiana e di essere sopravvissuta a dolori
enormi. Ha molto da insegnare con i suoi scritti e, semplicemente,
con la sua vita.
Ecco a voi, dunque, il
mio paziente lavoro di trascrizione (e studio!) del documentario in
questione:
Andrea Ginzburg, figlio:
“Mia madre si svegliava
prestissimo la mattina e qualche voglia scriveva sul divano nel
pomeriggio, ma normalmente tutta la sua scrittura avveniva al di
fuori dei nostri occhi. La sera, poi, si addormentava molto presto,
perché appunto si svegliava alle 4:00 per scrivere. Come se avesse
due vite, nel senso che la sua vita diurna sembrava non avesse alle
spalle questo periodo di scrittura”.
E' una pratica intima che
ha iniziato giovanissima.
Natalia Levi è nata a
Palermo nel 1916, ma presto, durante l'infanzia si trasferisce a
Torino. La sua è un'adolescenza malinconica, accompagnata dalla
scoperta dei grandi poeti. Dal padre, istologo di fama internazionale
eredita, secondo la madre, il pathos ebraico.
Carlo Ginzburg, figlio:
“Lei ha trovato la sua
'voce', una voce molto inconsueta, un ritmo molto inconsueto molto
presto. Ci sono scrittori che faticano molto a trovare la loro voce.
Questo non è stato il suo caso”.
Durante tutta la sua
esistenza trasforma la vita in scrittura. Lo fa fino alla morte, nel
1991. E' con “Lui e io” nel 1962 e poi, subito dopo con “Lessico
famigliare”, scritto di getto nel 1963, in pochi mesi, che
l'autobiografismo diventa più scoperto e dichiarato.
Sua dichiarazione:
“Devo dire che,
scrivere della realtà è una grande tentazione. Insomma, quando uno
ha continuato a lasciare indietro la fantasia, non fabbricare più,
abbandonandosi al corso della memoria, è difficile, penso, che possa
di nuovo tornare indietro, a quel meccanismo della fantasia, che ha
qualcosa di un po' freddo, di un po' costruito. Invece quello che è
ricordare è puro abbandono senza complicazioni”.
Domenico Scarpa, critico
letterario:
“Storia di una voce
dentro la Storia con la 'S' maiuscola, perché Natalia Ginzburg è
stata una persona che sperimentato in molti modi la sua voce privata,
la sua voce personale, molti generi di scrittura, praticando molti
tentativi di intonazione, di espressione, tutti molto ben riusciti e
ha attraversato almeno sessant'anni di storia italiana come
scrittrice attiva”.
Tony Servillo, attore:
“Ciò che lascia
ammirati e affascinatissimi è questa capacità di una prosa che
quando è romanzesca è anche saggistica, quando è saggistica è
anche romanzesca. Una limpidità della scrittura, una capacità di
avere una scrittura così sorvegliata che è sempre sul trampolino
contenuto e forse per questo più forte di un emozione intellettuale
o del cuore così acuta; un'intelligenza del cuore così affascinante
che credo sia una cifra proprio personale della sua scrittura”.
Natalia si abbandona al
ricordo e assomiglia alla sua scrittura; e così come in Moravia
ritroviamo il suo parlare un po' brusco e nervoso, in Pasolini la
dolcezza straziata, in lei sorprende il tono pacato che intiepidisce
volutamente le emozioni troppo intense.
Anna Bonaiuto, attrice:
“Forse in lei colpisce
molto il pudore che ha quando parla di cose veramente profonde, come
i grandi dolori della vita, la morte del marito e altri momenti
tragici che lei ha vissuto, ma sono come raccontati con quella
delicatezza, quel pudore dei sentimenti che la contraddistinguono”.
E che fanno di “Lessico
famigliare” un romanzo unico; con varietà di toni e narrata la
storia della famiglia di Natalia sullo sfondo di un periodo
drammatico e decisivo per l'Italia intera: la stagione degli anni '30
e '50 del Novecento. I genitori, ma anche la sorella, i fratelli e
via via lungo le diramazioni della famiglia; collante di questo
nucleo di affetti è il suo linguaggio privato, quel caratteristico
lessico famigliare, secondo la formula d'autore passata in proverbio,
nutrito di aneddoti e memoria genealogica, vero deposito dei ricordi.
Tony Servillo, attore:
“Il suo romanzo più
famoso, “Lessico famigliare”, è anche uno straordinario trattato
di antropologia. È un piacevolissimo, nonché divertentissimo
romanzo, ma è anche un'opportunità straordinaria per conoscere la
famiglia nella sua immobile istituzione, ma anche la famiglia di
quegli anni, naturalmente”.
A libro finito, al
lettore sembra di conoscere da sempre la famiglia Levi, ma anche le
altre figure che le ruotano intorno, amici noti e meno noti: da
Turatti e la Kuliscioff ad Adriano Olivetti, che nel 1927 sposerà
Paola, la sorella maggiore di Natalia.
Domenico Scarpa, critico
letterario:
“Natalia Ginzburg è
una persona che riesce a parlare molto di sé senza lo sbraco della
confessione e anche quando parla dei suoi amici, questi personaggi
entrano ed escono dai luoghi che lei frequenta, dalla casa editrice,
in maniera assolutamente naturale, senza sconfinare in territori
indiscreti”.
Carlo Ginzburg, figlio:
“Io credo che c'è
questa musica e questo ritmo che afferrano veramente. Questo ritmo,
questa voce che è davvero inconfondibile, quindi la stessa storia
raccontata da lei è un'altra cosa”.
Si forma a Torino una
generazione di intellettuali resistenti: Vittorio Foa, Giorgio
Agosti, Norberto Bobbio, Massimo Mila, Giulio Einaudi, Cesare Pavese
e Leone Ginzburg. Quest'ultimo, maggiore di Natalia di sette anni, è
un ebreo coltissimo, esperto di letteratura francese e russa. Con
Giulio Einaudi fonda nel 1933 la casa editrice e già nel 1934 e di
nuovo nel 1935 sarà arrestato per le sue idee politiche. Da amico e
consulente letterario, Leone preso assume un altro ruolo nella vita
di Natalia.
Si sposano e, nonostante i grandi talenti di lui, le sue
idee e la sua religione lo conducono al confino in seguito allo
scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Destinazione: Pizzoli, un
paesino abruzzese. Al suo seguito ci sono anche Natalia e i loro
primi due figli, Carlo e Andrea, mentre Alessandra nascerà proprio
lì. È in questi anni duri che Natalia pubblica il suo primo libro:
“La strada che va in città”, con lo pseudonimo di Alessandra
Tornimparte, per sfuggire alle leggi razziali. Inoltre inizia la
traduzione di Proust.
Rimangono al confino fino
al 1943. Dopo l'8 settembre Leone riprende a Roma l'attività
politica ed editoriale; il 1° novembre la famiglia lo raggiunge, ma
venti giorni dopo viene arrestato nuovamente e incarcerato a Regina
Coeli. Morirà per le torture subite nella notte tra il 4 e 5
febbraio 1944, senza che la moglie lo abbia più incontrato.
Resta una poesia di
Natalia a fermare per sempre quel dolore:
“Memoria” (1944)
Sollevasti il lenzuolo per
guardare il suo viso,
ti chinasti a baciarlo con
un gesto consueto,
ma era l'ultima volta,
era il viso consueto,
solo un poco più stanco
e il vestito era quello di
sempre
e le scarpe erano quelle
di sempre
e le mani erano quelle che
spezzavano il pane
e versavano il vino.
Oggi ancora nel tempo che
passa sollevi il lenzuolo
a guardare il suo viso per
l'ultima volta.
Se cammini per strada
nessuno ti è accanto,
se hai paura nessuno ti
prende la mano,
e non è tua la strada,
non è tua la città,
non è tua la città
illuminata.
La città illuminata è
degli altri,
degli uomini che vanno e
vengono
comprando cibi e giornali.
Puoi affacciarti un poco
alla quieta finestra
e guardare in silenzio il
guardino nel buio.
Allora, quando piangevi,
c'era la sua voce serena,
allora, quando ridevi,
c'era il suo riso
sommesso,
ma il cancello che la sera
si apriva,
resterà chiuso per sempre
e deserta è la tua
giovinezza,
spento il fuoco,
vuota la casa.
Questa poesia viene
scritta e firmata per la prima volta con il cognome Ginzburg, che
Natalia assume dopo la morte del marito.
Lella Costa, attrice:
“Memoria mi ha proprio
segnato come un modo straordinario di raccontare un dolore molto
privato, molto personale, di un uomo molto amato, raccontato con una
sobrietà e intensità che rare volte mi è capitato di trovare. Ha
una cadenza narrativa che ha tantissimo in comune con Pavese e quindi
c'è anche qualcosa di nobilmente piemontese in questo. C'è una
sobrietà, un'esattezza, un non sperpero delle parole inutili”.
Dopo la morte di Leone
sarà Natalia a raccogliere, almeno in parte, la sua eredità.
L'Einaudi sarà la sua casa editrice per la vita. Era la sola donna
'senatrice' nell'editrice.
Torna a vivere a Torino
nella casa dove aveva vissuto i primi anni con il marito, tuttavia
vivrà anche a Roma e a Londra e si risposerà. Preziosa e importante
sarà l'amicizia con Elsa Morante. Frequenterà anche Pasolini,
Moravia. Fu Natalia a far pubblicare il primo romanzo della Morante,
“Menzogna e sortilegio”, e poi ne erediterà i gatti siamesi alla
morte.
Per vincere l'imbarazzo e
ancora di più il dolore bisogna sapersi distaccare. Lei lo ha fatto
con voce forte, spesso con l'uso dell'ironia che considerava uno
straordinario strumento ma, diceva, le donne sembrano non capirlo,
sono sempre umide di sentimenti, loro, ignorano il distacco.
Natalia si occupa molto
della questione femminile, delle madri e dei bambini, però dà per
scontata la parità dei sessi e la forza femminile, forse perché lei
ha dovuto subire e sopportare cose molto forti, per cui il suo essere
donna è un essere molto forte, totale, è non dipendere dagli
uomini, essere autonoma, bastare a se stessa.
Quando lei parla di se
stessa usa il nome di scrittore e romanziere. Lo stesso di Elsa
Morante. Entrambe usavano il maschile assoluto nonostante le loro
voci fossero fortemente femminili, ma superano, vanno oltre i sessi.
Natalia diceva che dolore
e allegria sono intrecciati. Tutta la sua opera lo dimostra, ma il
teatro in special modo. Per non rimanere intrappolata nel suo Io,
scrive il teatro, undici opere, moltiplicando le voci.
Con la sua scrittura,
Natalia Ginzburg ci racconto con la maggior naturalezza anche eventi
drammatici, mescolando la vita di tutti i giorni a problematiche
esistenziali.
Erano arrivati gli anni
in cui Bob Dylan, dall'altra parte del mondo, diceva: “Io accetto
il caos, ma non sono sicuro che il caos accetti me”. Pare un mondo
lontano da Natalia, ma lei di certo continua a interrogarsi con la
sua voce, insieme saggia e ironica, una voce che smonta dall'interno
ogni superiorità, che si affida a un'umanità semplice e leggera,
pronta ad affrontare le gioie, le tragedie e gli enigmi della vita e
ad accettarne il caos.
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