Conferenza: “Gotico... ma non troppo”
Grazie al Caffè
Letterario che frequento su Facebook e alla bravissima Emanuela Bean,
ho letto l'esistenza di una serie di incontri e conferenze in quel di
Aquileia, presso la stuzzicante pasticceria Mosaico, sita esattamente
di fronte alla basilica.
Dando una scorsa agli
appuntamenti non ho potuto fare a meno che segnare subito in agenda
quello dal titolo “Gotico... ma non troppo”. Preparata la
macchina insieme a una parte della tribù, abbiamo raggiunto la Bassa
Friulana per immergerci nel nuovo locale inaugurato dalla pasticceria
poco tempo fa. Uno spazio delizioso, luminoso, arricchito da pareti
di legno e alcuni dipinti che mi hanno colpita e che poi ho scoperto
appartenere a una delle relatrici della serata, Anna Degenhardt.
Insieme all'artista
avrebbero parlato anche la scrittrice e segretaria della Società Archeologica Friulana Lorenza R. Bellè e il presidente
del Gruppo Speleologico Goriziano “Seppenhofer” Maurizio
Tavagnutti. Gli incontri erano poi patrocinati dal comune di Aquileia
e organizzati dal talentuoso pasticcere e mecenate Piero Zerbin e
dalla Società Archeologica Friulana.
Per fortuna siamo
arrivati con mezz'ora di anticipo, perché i posti sono stati presi
letteralmente d'assalto e, in men che non si dica, la sala si è
riempita. Ho fatto anche in tempo ad adocchiare questa fantastica
dispensa:
Mi ricordava qualcosa, ma
non capivo cosa. Poi ho incrociato lo sguardo del presidente
Tavagnutti e mi sono data una manata in fronte. Ma certo! Si trattava
del corposo atto della conferenza che la Seppenhofer, assieme ad
altri enti, realizzò proprio nel castello di Gorizia pochi anni fa,
con il risultato delle loro ricerche e indagini sul territorio, a
caccia di creature fantastiche. Un evento al quale avrei voluto
partecipare, e che invece ho dovuto perdere a causa del lavoro che
facevo all'epoca. Potete immaginare la mia emozione nel ritrovarmi
tra le mani una dispensa così ricca anni dopo, in un posto dove non
avrei mai creduto di trovarlo.
I doni inaspettati sono i
migliori!
La serata è stata aperta
dalla vulcanica scrittrice Lorenza R. Bellè, autrice dell'inizio di
una trilogia gotica (ma non troppo!) sui vampiri, ambientata a
Trieste in epoca contemporanea e dal titolo “Il sangue non mente”
(edizioni Goliardiche).
Il gotico cui si riferiva
questo incontro è inteso come sottogruppo di quel romanticismo
letterario che voleva suscitare emozioni legate alla paura,
all'angoscia e al terrore, anche per attuare una sorta di catarsi nel
lettore. Le ambientazioni sono chiese, palazzi gotici, caverne, ecc.
Oltre confine non mancano
casi di vampirismo riportati sulle cronache d'epoca:
Villaggio di
Kisilovia, Serbia, XVIII sec.. Alla morte del falegname
settantenne Jacob Kavansky si registrano strani eventi in paese. I
villani provano sensazioni di soffocamento notturni e il vecchio
Kavanski compare nei sogni di molti. Viene richiesto l'aiuto al Balì
locale, che comanda la riesumazione del corpo del defunto, sopra il
quale non viene riscontrato nulla di strano, ma dal momento che nel
villaggio si era ormai sicuri che si trattasse di un caso di
vampirismo, si compì il rituale di esorcismo tipico del caso:
paletto di biancospino nel cuore, taglio della testa e incinerazione
del corpo.
Corridico, Istria,
XVII sec.. Jure Grando comparve nei sogni agli abitanti del suo
villaggio e alla moglie sedici anni dopo la sua morte. Si credette
che fosse divenuto un vampiro, perciò il suo corpo venne
disseppellito e subì la stessa procedura rituale del “collega”
serbo.
Dopo l'introduzione
vampirica a parlare è stata l'artista Anna Degenhardt, che ha dato
una spiegazione alle credenze delle leggende, delle superstizioni e
delle storie che si raccontano da sempre in famiglia e nei paesi.
Gli uomini posseggono una
parte razionale e analitica e una intellegibile, emozionale. Già gli
antichi filosofi facevano questa distinzione, mentre Popper
identifica questi luoghi mentali come il mondo 1, quello razionale e
il mondo 2, l'Altro. È la somma dei due mondi a creare le leggende.
Nelle leggende si trovano
delle cose fantastiche non a caso. Si tratta di eventi realmente
occorsi che si sono cristallizzati nell'uomo in un unione tra mondo
reale e mondo Altro.
L'uomo ha sempre avuto
bisogno di trascendere la realtà, affidarsi a un'entità Altra, più
grande per affidargli le sue paure, le sue debolezze. La sola realtà
tangibile mantiene l'uomo talmente chiuso in uno schema ridotto, che
a un certo punto non è più in grado di sopportare. Quindi le
leggende catalizzano tutte le emozioni per riassumerle e poi
raccontarle alle persone, che in questo modo riescono ad accettare
anche situazioni drammatiche e spaventose, perché viste da un'altra
prospettiva. Insomma, il racconto, anche fantastico, catalizza tutte
le emozioni e in una forma catartica risolve questi nodi che
risultavano quasi insopportabili.
Nella notte dei tempi gli
eventi naturali (tuoni, fulmini, piogge torrenziali, ecc) erano visti
come messaggi che un'entità superiore mandava all'umanità. Questo
era ciò che si credeva nell'antichità, ma anche fino a pochi anni
fa, e addirittura oggi. Molte superstizioni infatti sono giunte fino
ai nostri giorni.
Tutto ha origine dal
dualismo bene e male, buono e cattivo, ecc.., opposti che vengono
inseriti anche nelle leggende: ci sono personaggi buoni e cattivi.
E in Friuli non mancano
leggende e personaggi atti a questo scopo. I personaggi possono avere
sembianze umane (strega, stregone), poi ci sono personaggi umani
mescolati agli animali e infine animali fantastici (draghi, serpenti
particolari). C'è una varietà infinita di queste creature.
Le varie società cercano
di dare delle risposte ai vari perché esistenziali. Le leggende
forniscono parte di queste risposte e hanno un grande senso perché
uniscono vita e morte, ovvero il cambiamento fisico dell'uomo da
corpo a spirito. Rimane un legame con i morti. Ci sono ricorrenze che
celebrano i morti, che in questo modo non svaniscono totalmente.
I Benandanti raccontavano
storie e leggende di paese in paese. Lo facevano anche i nonni ai
nipoti. Si ricordavano spiriti che, durante certe lune piene, a
Mezzanotte, senza toccare terra e con degli uncini in testa,
fluttuavano negli stessi luoghi dei vivi. Alcuni paesani si
barricavano in casa per tenerli lontani, mentre altri spalancano le
porte per farli entrare.
Ci sono posti specifici
dove la gente dice: “Lì non bisogna andare perché ci sono gli
spiriti”, perché chi si avvicinava a quei luoghi ne veniva
scacciato, da voci e altri rumori che trasmettevano terrore.
All'interno del parco del
castello di Saciletto si raccontava che le piante e gli alberi
avessero bocche e occhi e che gli uomini venivano pietrificati.
Tre lupi (in realtà
diavoli) difendono la rocca di Monfalcone.
Le fate d'acqua, ovvero
le Agane si trovano in tutto il Friuli, con nomi diversi. Dove c'era
l'acqua c'erano anche loro (Varvuole a Grado, Torke sul confine
sloveno). Le Agane sono le antiche ninfe della mitologia
greco-romana, le protettrici dell'acqua, che è l'elemento principale
dell'uomo, che dà vita e la mantiene. Per questo venivano venerate
fin dalle epoche più remote. Le agane buone e belle di bianco
vestite facevano benefici, quelle brutte, vestite di nero erano
cattive e facevano malefici, rapivano i bambini per mangiarli.
Vengono descritte deformi, ambigue o con i piedi di capra, di
tacchina, di oca o rospo. Oppure coi piedi al contrario, conseguenza
della nascita con parto podalico.
Possono anche essere
donne normali che rubano i panni alle lavandaie per occuparsene e
farli ritrovare alle donne del villaggio (agane buone) o farci sopra
malefici (le cattive).
Le agane sanno ammaliare
e addirittura ci sono testimonianze di uomini sposati con loro, che
le hanno viste e ci hanno convissuto.
Le agane si trovano non
solo nelle acque, ma anche nelle grotte, dal momento che al loro
interno c'è l'acqua. Lì prendono talvolta le sembianze di rocce e
stalattiti.
Nelle grotte si ricorda
l'esistenza anche di altre creature mitiche, come draghi, unicorni e
serpenti speciali.
Sempre seguendo la
tradizione mitologica greco-romana bisogna ricordare creature
fantastiche come le arpie (testa di donna e corpo di uccello) e le
sirene (corpo di donna fino alla vita, poi coda di pesce), tutte
queste figure vengono poi trasformate dalle credenze popolari in:
varvuole, torke, krivapete, ecc.
Il signor Tavagnutti ha aperto una
porta sulle indagini del suo gruppo speleologico.
Indagando sulle agane, le
krivapete, le streghe e le torke, gli speleologi goriziani si sono
resi conto che alcune di queste creature sono realmente esistite in
alcuni paesi.
A Masarolis i paesani
raccontavano che in una grotta abitavano delle streghe e in effetti
si è scoperto che lì dimoravano alcune donne deformi, che i paesi
vicini non accettano. Eccome come nacque la leggenda delle streghe
locali.
Si comandava ai bambini
di non avvicinarsi ad alcune risorgive, perché lì c'erano le agane
cattive. In realtà si trattava di luoghi acquatici siti in
prossimità o dentro a grotte, dove c'era pericolo di annegamenti e
crolli e allora ci si inventava la presenza di questi esseri per
tutelare i più piccoli dei villaggi.
Le grotte incutono
timore, quando non vero e proprio panico, ma non è stato sempre
così: l'uomo ha vissuto in questi antri fin dalla preistoria, perciò
non si tratta di una paura ancestrale. Solo dal Medioevo l'ambiente
ipogeo è stato considerato un ambiente pericoloso, secondo alcuni la
porta dell'aldilà, con la presenza di figure soprannaturali.
Il gruppo speleologico
Seppenhofer ha scoperto che nel Carso e nella zona prealpina ci sono
leggende con specifiche differenze.
Nel Carso si trovano
preferibilmente storie di diavoli, draghi e tesori nascosti. Questo
può derivare dal fatto che il Friuli si trova sulla testa
dell'Adriatico, dove arrivavano pirati e predatori di ogni sorta, per
cui gli abitanti dei paesi e delle città nascondevano i loro beni
nelle grotte. A quel punto ci si inventavano racconti spaventosi su
quei luoghi per tenere le persone ben distanti dai loro beni. Nacque
probabilmente in quel modo anche la leggenda della grotta del Diavolo
Zoppo, nelle vicinanze di Monfalcone, un ipogeo che purtroppo è
stato spianato. Si raccontava che vi si trovasse un diavolo zoppo che
difendeva il suo tesoro.
Nelle zone prealpine le
credenze sono legate più a streghe, folletti e agane. Alcune
leggende dicono che le agane conoscevano tutti i segreti legati alla
natura. Un uomo delle Valli del Natisone sposò un'agana proprio per
carpire quei tesori naturali. Lei acconsentì all'unione a patto che
lo sposo non la chiamasse mai 'agana', invece, dopo qualche anno, il
marito la chiamò proprio col suo nome in seguito a un litigio, e
così lei se ne andò urlandogli che non avrebbe mai più scoperto i
preziosi segreti che celava.
Poi c'è un altro genere
di strega, più cattiva, e in questo caso entra il gioco la frontiera
slava, più vicina a storie di origine teutonica. Torke e krivapete
sono praticamente lo stesso personaggio, che abita le grotte. Brutte,
coi piedi ritorti.
Ci sono racconti dove
l'uomo cerca di fregare le krvapete. Si parla di un boscaiolo cui una
krivapeta chiese di allargare un buco dentro un tronco. L'uomo
acconsentì e usò i suoi attrezzi, ma chiese alla creatura di
aiutarlo tenendone una parte. La krivapeta non comprese quello che
stava succedendo, mangiò la foglia e rimase con le mani bloccate
dentro all'attrezzo. In questo modo il boscaiolo aveva assicurato un
pericolo in meno al villaggio.
Gli sbilf sono folletti,
spiriti capricciosi di bambini morti.
Sopra Tarcento si trova
una roccia con un'impronta che, spiegavano i locali, era il
lascitodella pressione del piede della Madonna. Un evento simile
occorse anche a Castelmonte. In realtà è un semplice fenomeno di
corrosione della roccia, ma una volta non si avevano queste
conoscenze e quindi quei luoghi conservano il nome di “Impronta
della Madonna”.
Vicino alla chiesa di
Medea c'è una dolina. Sappiamo che è una dissoluzione carsica, un
fenomeno naturale. Invece fino a cento anni fa si credeva ancora la
conseguenza di una lotta tra il Diavolo e la Madonna. Il primo perse
la contesa e si lanciò dalla chiesa a terra, provocando quella
depressione nel terreno.
Ma ci sono altre storie
legate a vicende cui non si riesce a dare una risposta razionale. Per
esempio, una volta il signor Tavagnutti e altri tre speleologi erano
in cerca di una grotta. Era una mattina fredda, con una spessa coltre
di nebbia, nel boschetto nel quale camminavano. Lì, dal nulla
comparve una vecchina. I quattro le chiesero se sapesse dove si
trovava l'ipogeo e la signora diede loro indicazioni. Continuarono
perciò a camminare in quella direzione, ma dopo un po' c'era da
scegliere se andare a destra o a sinistra. Allora tutti e quattro
udirono distintamente qualcuno parlare: “Non andate di là!”. Non
c'era nessuno a parte loro. Tuttavia decisero di seguire quello
strano consiglio e, in effetti, giunsero a una grotta, per poi
scoprire, al rientro, che in quei luoghi erano morte parecchie
persone.
Infine, la Professoressa
Blason, ricercatrice e presidente del Gruppo Archeologico di Aquileia
ha illustrato la mitica figura di Attila, un re che ha generato
innumerevoli leggende.
Il nome Attila significa
“piccolo padre”. Nelle nostre famiglie friulane il papà si
chiama, o si chiamava il tata, che deriva dalla parola atta,
una lingua parlata dagli unni, presente anche come origine presso i
turchi, essendo indo-europea.
Siamo giunti a 1560 anni
dalla morte del re degli Unni, una fine avvenuta per ragioni
naturali. Verosimilmente il guerriero era un forte bevitore e,
purtroppo, ebbe la buona idea di morire a pochi giorni dalla vittoria
su Aquileia, ultra-cinquantenne e poco dopo aver sposato una
giovanissima principessa teutonica. La causa esatta del decesso fu
epistassi, tuttavia la fanciulla venne accusata di averla provocata.
Ma Attila non è
ricordato in questo modo, molto umano, bensì come conquistatore di
Aquileia.
Gli unni apparvero dal
nulla nel IV secolo, evento che portò i loro contemporanei a
congetture infinite. Un popolo che sembrava mai nato e mai morto, che
entrava in battaglia adottando strane strategie: non attacchi
frontali, ma a zig-zag.
I contemporanei di Attila
non gli diedero connotazioni oltremodo negative, invece i posteri
coprirono la differenza. Gli unni vennero descritti piccoli, tozzi,
con la pelle scura e il naso schiacciato. Soprattutto tra i nobili,
per distinguersi dal popolo, veniva eseguita la deformazione
cranio-facciale alla nascita, con i classici metodi di pannelli di
legno tenuti legati da strisce di stoffa attorno alla testa. In
questo modo le donne ottenevano una testa a torre, mentre gli uomini
un cranio allungato. Durante i lutti erano soliti bucarsi le guance
in segno di afflizione.
Attila non era bello,
tuttavia un testimone che lo conobbe scrisse che mentre camminava la
gente gli faceva spazio per passare, perché trasudava carisma.
Mentre lui era ombroso, il fratello era solare.
Viene definito “Flagello
di Dio” perché un autore scrisse di lui che gli unni erano stati
la frusta di Dio per punire gli uomini, ovvero i romani ormai in
decadenza.
Si dice anche “Attila,
fiol di un can”, riferimento a una delle due iconografie con
le quali il re veniva rappresentato. Lo storico Giordane (IV-V secolo
d.C.) riporta gli scritto di Prisco di Panio, i “Fragmenta”, dove
si trovano i commenti sugli unni, conosciuti come uomini con la testa
di cane, perché il loro capo era figlio di una principessa e di un
cane.
In un'altra versione si
scrive che il popolo sarebbe stato generato dall'unione tra le
streghe Ariounne e i fauni Ficari. Da qui monete con le effigi di
Attila con attributi di fauno, opera principale di cristiani, atta a
demonizzare il feroce condottiero come un barbaro pagano crudele e
sanguinario.
Attila divenne l'emblema
del male assoluto. Tanto che un bimbo particolarmente vivace viene
soprannominato Attila.
Luci e ombre di un grande
guerriero che, nonostante tanti successi, ebbe diversi figli, nessuno
dei quali riuscì a mantenere quanto conquistato dal padre.
N:B Tutte le foto qui presenti sono del direttore Maurizio Tavagnutti, gruppo Seppenhofer di Gorizia, che ringrazio per la concessione e per la splendida esposizione durante la conferenza e negli atti che ho avuto l'onore di portare a casa.
Gotica è il mio secondo nome!;)
RispondiEliminaGuarda, se cambio lavoro, e il se è d'obbligo, metterò nero su bianco tutto il materiale che ho scovato in questi anni. Inutile dire che tornerò a leggere questo post, che mi prende in maniera viscerale!
GRAZIE :)
:*
Maddai! E come mai hai questo secondo nome?
EliminaE che materiale hai raccolto in questi anni?? Io sono curiosissima.
Questo articolo è piaciuto tanto anche a uno dei relatori che lo ha inserito nella sua rivista on-line di speleologia. Wow! Che onore!!
Gotica... in quanto Amo il gotico, ho parecchi libri e racconti gotici, soprattutto di origine britannica.
EliminaPoi, dovunque vada raccolgo storie e leggende sui luoghi, o acquisto volumi di qualsiasi genere. In verità mi sarebbe piaciuto fare la folklorista alla Frazer, per intenderci. Di materiale ne ho parecchio, dalle fotografie, alle locandine, ai bigliettini strampalati che scrivo quando incontro qualcuno per "strada"... Dovunque vai c'è sempre una storia, e spesso sono sanguinolente. Guarda, conosco poco il Friuli, ma ho comprato, anni fa, un testo "Leggende del Friuli e delle Alpi Giulie" di Anton Von Mailly... E quando curavo un sito "pagano" c'erano lettrici, che conoscendo la mia passione, mi regalavano o imprestavano testi della loro regione. Dalla Sicilia Pitrè o dall'Università "Il matriarcato slavo". Un mio amico mi ha da poco donato un paio di libri degli anni trenta, uno di botanica, l'altro della Valvassori, e all'interno ci sono pure ricettine e bigliettini di chi l'ha posseduto... Ho trovato un tesoro! Sono uscita fuori tema, pardon!
Insomma, cose così. :)
Mia cara, con me con questi argomenti sfondi una porta aperta: sono anni che, grazie al mio ex-gruppo archeologico, realizzo conferenze su varie tematiche tra cui I Culti Pagani in Friuli. Ho postato anche qui varie informazioni in merito. E un anno fa ho iniziato a scrivere un saggio sull'argomento, ovvero sulla sopravvivenza degli antichi culti e dei simboli pagani nelle tradizioni cristiane.
EliminaE sai una cosa curiosa? Von Mailly è uno dei classici della casa editrici/libreria per la quale lavoravo. E "Il matriarcato slavo" si Gasparini me lo sono scaricato qualche mese fa. Ahahha, incredibile!
Dovresti proprio metterti sotto e sistemare quel materiale, secondo me verrebbe fuori un libro portentoso, scritto da te!