Gli appunti del IV Festival Vegetariano di Gorizia
Giorno 30 agosto 2013.
Apertura ufficiale.
Patron Massimo Santinelli:
“Stamane alle 5:00 ero già sveglio e
mi domandavo cosa dire. Allora ho preso le scarpe e i pantaloncini e
sono andato a correre per trovare ispirazione. A quel punto mi sono
ricordato di un signore che, lo scorso anno, dopo il festival mi ha
fermato per strada chiedendomi se ero io l'organizzatore di questo
evento e alla mia conferma, lui mi ha detto che, a causa mia, sua
moglie non gli cucina più la carne. Mi sono sentito responsabile!
Ciò detto sono comunque molto contento
di questa quarta edizione. Sono un imprenditore goriziano e voglio
investire sulla mia città, creare nuova forza lavoro e perciò sono
contento del mio operato.
Prima di aprire la Partita Iva ero un
operaio a San Giovanni al Natisone. Poi ho appoggiato la filosofia
vegetariana e ho deciso di aprire una mia azienda veg. E sono 22 anni
che ci lavoro.
Cinque milioni di vegetariani in
Italia. C'è un movimento che è in moto e tutto per forti
motivazioni culturali, sociali ed ecologiche. Sono valori e coscienze
importanti.
L'altro giorno guardavo su internet: ci
sono un miliardo di persone senza cibo. E solo noi italiani gettiamo
via tonnellate di cibo buono. Insomma, è ovvio che ci siano delle
ingiustizie forti, che dobbiamo lottare per ristabilire un po' di
equilibrio.
Il Festival Vegetariano vuole essere un
luogo di incontro e riflessione su argomenti molto importanti sia per
noi che siamo qui, che per le generazioni a venire”.
Jacopo Fo:
“Ho aperto l'Università Alcatraz nel
1982 e ci ho collocato un ristorante vegetariano e biologico. Quando
servivamo la gente ci chiedeva: “Bio chè?”
Tuttavia ho capito, anche grazie a una
cosa di mio padre, che mi era impossibile imporre il vegetarianesimo
alle persone.
Abbiamo provato quindi a offrire un
menu a diversi livelli, sia vegetariano, che carnivoro e allora
abbiamo capito che, se le persone sono libere di scegliere, mangiano
pochissima carne, perché vogliono provare di tutto.
Io credo che sia molto importante
rendersi conto di cosa mangiamo. La consapevolezza di quello che
mettiamo nel piatto è la cosa più importante.
Noi abbiamo vinto una battaglia
culturale terribile. Quando 40 anni fa ho smesso di mangiare carne,
vedevo la preoccupazione dei miei. Dare da mangiare carne al proprio
figlio era il meglio che una madre potesse fare, dopo la Seconda
Guerra Mondiale. Per questo parlo di battaglia culturale vinta.
Poi ci sono domande filosofiche
complesse. Ho fatto macrobiotica per sette anni ed è geniale, ma i
macrobiotici dicevano che noi ci siamo evoluti per mangiare cereali e
questo non è vero.
Poi ci sono quelli che dicono che nel
corso della nostra evoluzione abbiamo mangiato preferibilmente
verdure, ma anche insetti, come vermi e cavallette.
E poi ci sono i batteri, e chi li
difende, i batteri?
Insomma, bisogna ragionare con misura.
Noi oggi parliamo di crisi, ma continuiamo a buttare energia e
risorse naturali a palate. Con Alcatraz abbiamo lavorato anche su
questo fronte, intervenendo sugli sprechi cittadini,
nell'illuminazione cittadina. Abbiamo avuto premi ovunque,
addirittura dai cinesi, ma in Italia nessun giornale ne ha parlato.
Ecco, io credo che si può essere
stupidi quanto si vuole ma, quando la gente si renderà conto che
l'ecologia rende e fa risparmiare, allora io credo che finalmente
inizieremo a cambiare.
Giorno 31 agosto 2013
Presentazione libro:
"Orto. Dal balcone al campo: come coltivare ortaggi con successo"
dell'agronomo Davide Ciccarese.
Con l'autore dialoga la giornalista radiofonica Cheyenne
Si occupa di orti urbani, e proprio da
questa esperienza diretta nasce il libro, che è un corso di
sopravvivenza, un libro che serve per tutti, esperti e meno. Lì
dentro, infatti, ha raccontato come gestire un balcone urbano, ma
anche un ettaro di terreno.
L'autore si è interessato alla terra
perché ha sempre vissuto molto il verde. Lo zio lo portava spesso in
Val Chiavenna, fin da bambino e sua madre ha il pollice verde, perciò
una passione di natura.
Vive a Milano, cosa particolare! Milano
è una città molto cementificata, ma si creano molte piccole
comunità al suo interno, che resistono al cemento, che stanno
lavorando per creare un futuro diverso, rispetto a quello che tutti
vediamo.
Si ritiene un agronomo di città, per
esempio lui segue un ristorante che ha un orto di 80 mq, all'interno
del quale riesce a inserire insalate che si presentano poi nel menù
del locale. Lì si trovano anche erbe selvatiche, pure usate in
cucina.
Il biologico è l'innovazione
dell'agricoltura e la via migliore per un futuro come si deve.
L'agricoltura che oggi si fa sui campi è per la maggiore superata:
quando si va in un'azienda che fa agricoltura bio si incontrano
persone consapevoli, che valorizzano al massimo le risorse
circostanti, ascoltando fortemente la natura e i suoi cicli.
L'agricoltore classico, invece, forza la natura. Certo sensibile
verso il proprio territorio, perché gli da il pane. Tuttavia si
dispera se non piove, per esempio. L'agricoltore bio, invece, sta
molto attento ai cicli della pioggia e cerca tutti i modi possibili
per non far mancare nulla ai campi attraverso le risorse disponibili,
senza forzare la natura.
Il punto è che è difficile
abbandonare un tipo di agricoltura che va avanti da secoli, ma per le
nuove generazioni è più semplice.
Nell'Hinterland milanese, soprattutto a
sud, il trend è che negli ultimi dieci anni da 0 si è passato a
30-40 aziende bio. Questo accade perché molti giovani stanno
tornando all'azienda soprattutto bio. Il biologico è un'agricoltura
che stimola la curiosità, perché ha un approccio legato agli
stimoli naturali. Quando se in campo ti rendi conto che l'agricoltore
bio è molto legato alla terra, quindi c'è uno stimolo quotidiano,
di pelle, il contrario rispetto all'agricoltura tradizionale, sempre
più tecnologica e meccanica.
Il terreno, quando ti risponde bene, lo
senti subito. Quando si concima in modo adeguato il terreno, se lo
fai in maniera organica, tu sai tutto quello che hai messo nella
compostiera. È un agricoltura che dipende molto dal tuo approccio.
Chi coltiva bio è un giardiniere della natura, insomma, conosce
molto bene non solo il suo terreno, ma anche quelli circostanti.
Domanda del Pubblico: “Vivo in città:
come faccio con l'inconveniente dell'inquinamento? Inoltre,
l'agricoltura tradizionale serve a dare da mangiare a sette miliardi
di persone, non credo che il bio sia sufficiente per sfamare tutti”.
Risposta: “In città, è vero, c'è
l'inquinamento, soprattutto quello delle vetture, che portano metalli
pesanti. Chi abita al di sopra del terzo piano di un condominio, già
sta meglio, grazie ai venti che puliscono l'aria. In generale,
bisogna prendere del terriccio fresco, e ci sono articoli scientifici
che dicono che, attraverso il compostaggio, i metalli pesanti non
spariscono, ma diventano non attivi e quindi non inquinanti per la
coltura. Se poi la distanza tra la pianta e la strada ci sono più di
50 mt, gli inquinanti che arrivano, sono di meno. Se poi ci sono
edifici e altre barriere naturali, c'è una protezione in più.
Milano sta sperimentando la regolamentazione degli orti collettivi,
prima città in Italia che sta lavorando al progetto. Insomma, delle
persone sono andate dal sindaco e hanno chiesto di regolamentare
degli orti collettivi e il sindaco ha risposto: ok. Come funziona? Si
a un progetto per tot. mq. di terreno e il comune, se d'accordo, dona
i terreni e l'acqua, purché sia per la collettività. Certo a Milano
c'è molto inquinamento, per cui si è lavorato su cassoni di terra,
la cui terra è stata fatta arrivare dall'esterno. Certo coltivare in
cassa è più complicato che lavorare a terra, ci sono meno
nutrienti, ma ci sono tecniche ad hoc per riuscirci. Io non lavoro
con l'agricoltura tradizionale. Io vedo che nel futuro non ci sarà
più il vecchio tipo di agricoltura. Cambierà, perché il
convenzionale è basato su poche variabili. L'agricoltura del futuro
sarà diversificata, varia. La ricerca oggi, nel campo
dell'agricoltura, sta andando in quella direzione, perché le
statistiche dicono che i grandi campi non producono più. Perciò è
necessario, è una questione di sopravvivenza trovare nuove risposte.
In America sono più avanti, da questo
punto di vista. Per esempio, alcune associazioni di agricoltori
stanno mandando i giovani all'estero per imparare le nuove tecniche
di coltura.
Insomma, l'agricoltura del futuro
creerà un'agricoltura diversificata: agricoltura biologica,
agricoltura integrata, ecc... quindi in futuro metteremo più cose in
un tot. di terreno, integreremo la produzione a più livello. E non è
nemmeno una novità, questa: lo facevano 50 ani fa in molte cascine
italiane, quindi si tratta di rifare questi progetti, se vogliamo in
modo ingegneristico”.
DdP: “Come la mettiamo con la
demografia preponderante?
R: “La popolazione umana deve
cominciare a vivere di più all'interno della natura, non pensare che
la natura sia un ospite dell'uomo. Bisogna iniziare a pensare dal
nostro frigorifero, dagli sprechi. Abbiamo quasi un miliardo di
persone affamate, e noi sprechiamo il cibo! È assurdo ma vero.
Dobbiamo iniziare a preoccuparci di capire come rendere efficaci le
produzioni alimentari, dalla semina alla raccolta, alla
distribuzione, al piatto!”
DdP: “E il problema dell'acqua?”
R: “Dobbiamo ripensare a
un'agricoltura senz'acqua. Sembra un'eresia, ma per esempio, adesso
in Nord-Africa sta prendendo piede la micro-irrigazione: si ricicla
la plastica per produrre i tubi piccoli e molli che si mettono sui
campi e lavorano per dispersione, non a pressione, perciò l'acqua va
direttamente nel terre dove deve andare. Altro esempio: sta prendendo
piede l'agricoltura senz'acqua: la terra, quando noi l'andiamo a
lavorare, smuoviamo e disperdiamo nutrienti come l'azoto. Liberiamo
anidride carbonica, che inquina. Bisogna raccogliere tutto quello che
smuoviamo dal campo e rimettercelo. Una cosa simile a questo accade
nel Bosco, dove non si trovano buchi, il terreno è sempre coperto.
Perciò l'agricoltura senza acqua cosa fa? Rimette nel terreno tutta
la terra e gli elementi nutritivi tolti durante la semina. È una
tecnica che va migliorando e così il terreno non fa disperdere
l'acqua. Inoltre, l'hummus che si rimette dentro il terreno, anche
attraverso il compostaggio, torna nella terra, una terra che avrà
minor bisogno di acqua. Capite che sono tutte questioni di studio di
output e input, studiare a tavolino e ingegneristicamente come
lavorare il terreno nel miglior modo possibile, ovvero con meno
sprechi possibile”.
DdP: “Quali piante riducono
l'inquinamento?”
R: “Spatofillum è una pianta da
appartamento, che toglie l'inquinamento. In campo il girasole toglie
molti materiali pesanti dal campo”.
Il libro dell'autore contiene tutto
questo e molto, molto di più a livello pratico. L'agronomo ci ha
messo le sue esperienze dirette, tra cui quelle per il risparmio
dell'acqua. Ha dato consigli specifici per le piante da mettere in
balcone, come raccogliere le erbe selvatiche e farle nostre, perché
l'orto buono è quello che impiega anche queste erbe grezze.
il mio regime semi-vegetariano per l'arrampicata sarebbe già un primo passo per diminuire il consumo di carne..
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