Lungo le sponde dell'Isonzo

Sono seduta a pochi passi dal fiume Isonzo, a Gorizia, circondata da una fittissima vegetazione, alberi di querce, salici bianchi, fichi, piante di edera, ortiche e fiori selvatici a profusione.
Il fiume, che cambia colore ogni giorno, dal più torbido marrone invernale al più celestiale acquamarina estivo, oggi ha assunto una sfumatura di ottanio luminosa, che diventa argento puro quando i raggi del sole colpiscono la superficie in perpetuo movimento. Più a monte, infatti, la diga è aperta e in Slovenia deve avere piovuto parecchio a giudicare dalla corsa del fiume e dal suo rumoroso scorrere tra massi e tronchi sacrificati all'acqua.


Tutto, qui, è magico. Concentrarmi sulla lettura o sulla scrittura non è semplice in mezzo allo spettacolo che la natura offre, generosa. Non è come stare in un giardino curato, con l'erba tagliata, dove anche i vasi di fiori sono disposti secondo un'ordine cromatico preciso. Qui tutto è selvaggio: l'erba cresce alta, l'edera si arrampica su tronchi d'albero centenari e gli uccellini cantano senza tregua. Ma quello che oggi mi incanta di più è forse la lenta, soave caduta di piumini sull'acqua: sono le bambagie dei pioppi che in questo periodo si staccano dai rami e percorrono le misteriose trame del vento. Sono uno spettacolo bucolico, romantico, sognante, pari alla poesia urbana del sacchetto della spesa mosso dal vento nella scena finale della pellicola “American beauty”.
Quante volte ho affermato che la natura, al pari della scrittura, mi rigenera? Quanto vorrei anche anche le altre persone scoprissero, o riscoprissero queste fonti di vita, metamorfosi e pace. Purtroppo, qui nella città dove ora vivo, sembra che la maggioranza degli abitanti sia cieca e sorda dinanzi a questi spettacoli, a questi doni gratuiti. Pur abitando a due passi dall'Isonzo e da una natura rigogliosa, i cittadini si ostinano a rimanere barricati fra quattro mura, che siano quelli delle loro case, dei bar, dei ristoranti, degli uffici, delle scuole e dei centri commerciali che continuano ad aprire inesorabili, uno dietro all'altro, come in un interminabile braccio di ferro con la crisi economica di cui tutti parlano.


Quando, in settimana, sono costretta a immergermi nella tribù urbana per commissioni e lavoro, mi colpisce ogni volta, come fosse la prima, il mutismo e l'ombra che gravano su questi volti. È così raro trovare qualcuno che sorride. Chiusi ermeticamente nel veleno dei loro pensieri non vedono e non sentono nulla, non percepiscono quasi più nemmeno lo stimolo, l'istinto di sopravvivenza a scappare dal gorgo di quell'attività mentale aberrante e fine a se stessa, che anziché permettergli di trovare una soluzione ai loro problemi non fa che aumentarne la dimensione.
Perché non scendono al fiume? Perché non si spogliano di polvere e smog, ossessioni e preoccupazioni e non abbracciano questo cielo aperto, i raggi beati del sole e la terra, così ricca di risorse? Basterebbe uno sguardo un po' più attento alla corsa dell'Isonzo per concedergli di spezzare le catene del loro mutismo, dei demoni che gravano sulle loro spalle.
Un piumino si è appena posato su questi miei fogli. È segno che mi alzi e mi avvicini al fiume. È un richiamo irresistibile.
Vado.


Commenti

  1. Che bello svegliarsi la mattina e leggerti, cara amica.
    Non saprei aggiungere nulla, io che adoro il "mio fiume" , così lo chiamo quando ne parlo. È tutto magicamente vero quello che dici, e sedersi accanto alle sue acque che scorrono spesso energiche e tormentate è un toccasana per me. Credo che molti malesseri del quotidiano scomparirebbero se le persone sapessero ascoltare l'acqua che scorre, e il vento che parla tra le fronde della riva. Pochi sfruttano questa Medicina naturale, peccato.
    A te, che ascolti la voce del fiume, un abbraccio grande! A presto!

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    1. Quanto amo creature come te, così profonde e capaci di percepire la bellezza e l'energia in tutti i doni di Madre Natura!

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