Il fare è la chiave della felicità di ogni artigiano e artista

Di recente sono tornata in un villaggio sloveno situato in una conca. Un luogo dove il tempo si è fermato a un'ottantina d'anni addietro. Qui ci sono ancora pascoli di pecore e pastori, montanari che tagliano legna con l'accetta e la vendono alle famiglie per il forno a legna che ogni casa possiede e permette di scaldarsi durante l'inverno. Ci sono bambine, donne e anziane che lavorano il merletto a tombolo e due chiese per seimila anime. La fede è forte.

Io a Podbrdo

Una casettina a Zelezniki

La serenità che ho visto dipinta sui volti di questi abitanti mi ha fatto pensare a Lev Tolstoj, il nemico della tecnologia, delle città e dell'evoluzione industriale tout-court. Il più famoso scrittore russo di tutti i tempi trascorse un'esistenza profondamente filosofica e meditativa che lo portò a giungere alla conclusione che la felicità è raggiungibile soltanto attraverso una comunità di persone che conducono una vita semplice, scandita dai ritmi della natura e da una profonda fede.

Lev Tolstoj a Jasnaja Poljana, il suo villaggio natio russo

L'artista che nacque in una famiglia di ricchi proprietari terrieri, di anno in anno si spogliò del superfluo, dei denari e soprattutto di una mentalità che non si confaceva al suo sentire più profondo.

Lo scrittore insieme ai nipoti

Un cittadino che passasse da queste parti rimarrebbe colpito dall'arretratezza di certi usi e costumi e anche da alcuni comportamenti bruschi, quasi grezzi. È tutto talmente lontano dall'educazione e dalla formalità che ci si aspetta nelle città. Eppure qui la gioia è presente e tangibile tra gli autoctoni, mentre nelle città aumentano sempre più il malcontento quando non la depressione.

È come se tutto, in questo confronto tra il mondo moderno e quello contadino, ci indicasse che, se vogliamo stare bene, dobbiamo compiere qualche passo indietro e spogliarci degli orpelli e delle finte necessità.

Una delle più antiche dimore di Zelezniki (circa 150 anni)

Il torrente Sora

Io che mi occupo d'arte, poi, intravedo un filo invisibile che unisce questo pensiero al mio. Ho visto artigiani e pittori realizzare opere attingendo a tutte le loro conoscenze tecniche, alla passione e seguendo un intuito puro e sincero. E tuttavia durante l'esecuzione di questi soggetti le lacune erano evidenti. Si tratta probabilmente di autodidatti che non hanno conosciuto una scuola d'arte o un mastro scultore. Ciò nonostante la soddisfazione dei loro volti è chiara, lampante e irradia energia.

Un'intagliatrice del legno slovena

E' come se a noi, cresciuti immersi nelle bellezze e nella perfezione artistica del Belpaese, dove sembra che non ci sia più nulla da inventare, immaginare, creare, sia venuto meno il fermento, quella spinta irresistibile che induce ogni artista e artigiano a fare, a prendere un pennello, uno scalpellino e una penna in mano per abbozzare un'opera, a prescindere dalla perfezione che sarà in grado di raggiungere, all'unicità del suo lavoro. Creare per il piacere di creare. Iniziare perché non se ne può fare a meno. E poi, tra cento opere chissà, forse una o due risulteranno essere realmente degne di merito, ma la differenza tra questi “piccoli” artisti e artigiani locali e quelli delle città occidentali e moderne -certo, non tutti!- sta tutta qui: i primi provano una profondo soddisfazione per la semplice ragione che stanno lavorando alla loro creazione, perché sono lì dentro, nella “bolla” come la definisco io; i secondi si sentono schiacciati, assuefatti, saturi dal patrimonio artistico che li circonda e incapaci di realizzare qualcosa che si possa anche soltanto avvicinare a quella grandezza. E si chiedono: allora perché farlo? E coloro i quali riescono a superare questo limite vivono per avere un riscontro di spessore e se non arriva la loro autostima cola a picco.


Tra le vie e i corsi delle città l'infelicità serpeggia ovunque. Quello che pochi comprendono è che ognuno di noi possiede gli strumenti e la conoscenza per combatterla, ma è più facile cedere, scivolare nella scontentezza e lasciarsi vivere dalla vita, anziché il contrario, come dovrebbe essere.

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