Appunti della conferenza “Terre di matriarche: dee, fate, streghe e donne ribelli in Friuli fra Tarda Antichità ed Evo Moderno” a cura del Prof. Angelo Floramo, presso Palazzo Lantieri, domenica 4 ottobre 2015.
In questa terra di presenze femminili straordinarie,
non sempre le altre donne comuni, o meno famose, hanno avuto degna
considerazione. In questa conferenza ci sarà una carrellata di
queste figure semi-sconosciute.
Dicembre 388. Nella Basilica di Aquileia sale in
cattedra il vescovo Cromazio. Ai suoi piedi una ragazzina penitente
di nobili natali, di nemmeno dodici anni, Susanna. Era stata
orribilmente violata e, convocata dal vescovo, egli fa una lista di
considerazioni: la fanciulla non merita più di chiamarsi Susanna,
come la sua nobile omonima biblica. Non si può infatti subire
violenza sul proprio corpo, se prima non è l'anima a essersi già
corrotta. Inoltre, com'è possibile che nessuno abbia udito le urla
della fanciulla mentre, dice, si dibatteva per sfuggire alla
violenza? Non è più probabile che abbia taciuto in modo da potersi
rivedere segretamente con quel ragazzo di poco più grande che ora
accusa?
Il vescovo Cromazio comanda che la penitente venga
rasata, il corpo asperso di cenere, coperti di cilici e che vesta
umilmente e così viva fino al resto dei suoi giorni.
Eppure per le donne friulane non era sempre stato
così. La terra dell'agro aquileiese, in particolare, era stata
abitata da donne di retaggio nobile, che esercitavano un potere
fortissimo sulla loro domus e tra la loro gente.
Nel 347 San Girolamo, transitando dall'Illiria e
attraversando Aquileia, ebbe a dire che le donne si conciavano i
capelli a mò di scudo, con gioielli d'oro ovunque e ai piedi
calzavano scarpe con cordicelle fiammeggianti del color del sangue.
Un occhio attento per l'osservazione delle matrone aquileiesi,
insomma.
La donna era libera, consapevole della propria
bellezza e orgogliosa di esibirla. Bisogna arrivare all'età
medievale per mostrare come la percezione della donna cambi
drasticamente.
Nel 700 Paolo Diacono narrò in “Historia
Longobardorum” la vicenda della regina Romilda, moglie del re
longobardo Gisulfo: quando alle porte del suo castello arrivarono i
conquistatori avari ed ella vide il possente e attraente re Cacano,
si accese di lussuria per lui e gli mandò dei messaggeri per
offrirgli il castello e i suoi beni in cambio di una promessa di
matrimonio. L'”infame meretrice”, scrive Diacono, consegnava la
città di Cividale al suo nemico in cambio del soddisfacimento dei
suoi desideri sessuali. Cacano accolse la sua proposta e, conquistata
la città, la tenne sì con sé tutta una notte, ma quella successiva
la consegnò a dodici dei suoi soldati, che la violarono a loro
piacimento e, all'alba del nuovo giorno, Cacano comandò che la
regina venisse impalata in pubblica piazza. E commentò che quello
strumento di tortura era il suo degno consorte.
Secondo il recente studio della professoressa Maria
Torre Barbina, la scelta della regina di capitolare poteva nascondere
la volontà di immolarsi per proteggere i suoi figli e il suo popolo.
Forse una scelta azzardata e ingenua, ma presa con sincera volontà
di protezione.
Non si conosce la verità, ma certamente Diacono fu
tagliente nel descrivere i fatti.
Nel 1200 il nobile cavaliere Ulrich von
Liechtenstein si innamorò di una principessa viennese, la quale, per
concedersi la mano, gli chiese di realizzare una serie di imprese per
lei: durante il suo lungo tragitto per raggiungere il castello della
sua innamorata, il cavaliere avrebbe dovuto sfidare tutti i cavalieri
che trovava lungo la strada e vincerli. Ma attenzione, avrebbe dovuto
farlo vestendo i panni di una donna. Il cavaliere innamorato
accontentò la sua promessa sposa e la raggiunse con i nobili
vessilli conquistati.
Allora lei gli chiese un'ultima dimostrazione
d'amore: la consegna del suo anello ereditario, con lo stemma di
famiglia. Il cavaliere fece per sfilarselo dal dito, ma ella lo fermò
per specificare: non soltanto l'anello, ma anche il dito che lo
porta.
Senza indugi, il cavaliere si tagliò il dito con
l'anello e glielo porse.
A quel punto si aspettava di coronare finalmente il
suo sogno d'amore, ma la principessa scosse la testa e gli disse che
mai si sarebbe consegnata a un uomo che era capace di qualunque cosa
gli si chiedesse, anche la più stupida.
All'inizio del 1500, Susanna Valente risponde alla
lettera di una sua amica, arsa d'amore per un dottore letterato.
Chiede numi all'amica, che reputa più esperta di lei nelle questioni
di cuore. Questa le risponde con una missiva al vetriolo, chiedendole
se non è impazzita ad accettare la proposta di fidanzamento di un
letterato: questi figuri sono notoriamente cagionevoli di salute,
burberi, scatarrosi, ecc. Se ha pazienza, le presenterà il figlio di
un suo amico, un uomo giovane, bello ricco e dai modi certamente
migliori.
Nel 1570 Lucia Colao nasce non vedente e scrive
versi di ispirazione petrarchesca, delle poesie sulle stelle che lei
non ha mai visto e mai vedrà. Una ragazza incapace di vedere coi
suoi occhi, ma che dimostra di avere delle galassie dentro. Una
ricchezza immensa, rispetto a tanti suoi coetanei di sesso maschile,
che si perdevano in taverne o lotte cavalleresche.
Il mondo monacale tra 1400 e 1600 era caratterizzato
da una straordinaria libertà. Ildegarda di Bingen è l'espressione
più alta della capacità di una monaca, divenuta poi badessa, di
erudirsi e arrivare a toccare vette altissime di conoscenza. Non a
caso, oggi la Chiesa l'ha consacrata a quarta Dottoressa della
Chiesa.
Anche in Friuli nei monasteri le donne erano padrone
del loro corpo e della loro mente. I monasteri erano luoghi dove
l'uomo non avrebbe dovuto mettere piede, invece così non era.
Infatti, spesso questi sacri luoghi diventavano veri e propri
bordelli.
Le Clarisse di Cividale ricevettero un'ingiunzione
patriarcale nel 1480 che così recitava: “Rigettino ogni pittura
(trucco) e ornamento (pellicce e abiti sontuosi)”. Queste monache
mostravano il seno, ballavano dentro e fuori il monastero e facevano
l'amore. Cent'anni dopo, Monsignor Maracco scriveva di nuovo alle
stesse monache, perché erano disobbedienti, ballavano, giocavano
sulla pubblica via, si concedevano sessualmente, ecc. Nulla era
cambiato!
Il povero Monsignore asseriva che avrebbe preferito
comandare un intero esercito, piuttosto che dieci donne come quelle.
Nel 1600 Teresa Zais (O Zai) scriveva con una
sensualità potente, nonostante fosse una monaca. Dichiarava che in
monastero l'amore poteva praticarsi non solo in senso spirituale, ma
anche fisico, verso le proprie consorelle. Descriveva in particolare
una sua compagna con una tale particolarità che sembrava la
Primavera uscita da un quadro di Botticelli.
Scrisse anche a un vicario patriarcale, adottando
una quantità massiccia di doppi sensi per velare la sensualità e
l'erotismo che provava verso la madre superiora. Quando al
monastero arrivarono i sacerdoti per indagare su quello che stava
accadendo, Teresa chiese di cosa stessero parlando: lei aveva solo
descritto la sua gatta.
Nel 1639 Marta Fiascaris ha vent'anni e il carisma
di una grandezza immensa. È una ragazza molto colta, che viene
circondata da una specie di congrega al femminile composta da donne
carinziane, slovene, triestine. Scrive moltissimo, adducendo a
capacità tipiche dei benandanti (volare in spirito per lottare
contro le streghe e addirittura contro i turchi). Verga addirittura
un “Vangelo secondo Marta”, dove asserisce di essere sposata a
Dio, che risorgerà in una nuova vita per spiegare tutta la sua
conoscenza e tutto ciò che ha visto nell'aldilà. Dice di aver
vissuto molte vite, e in una di essere di avere avuto molti seni, con
un tipo particolare di latte che poteva sfamare per cento giorni. Ha
allattato la Madonna quando aveva due anni. Lei vola sopra a tutti e
scaglia maledizioni.
L'Inquisizione la interrogò per due decenni. Ci
sono quaranta faldoni su di lei nell'Arcivescovado di Udine. Finirà
la sua vita in un hospitale (manicomio). Gli inquisitori le
impediranno di scrivere, ma lei continuerà a farlo col suo stesso
sangue.
Marianna Concina, monaca di San Daniele, era figlia
di conte. Purtroppo nacque di salute estremamente cagionevole,
ragione per la quale, a una certa età fece voto di guarigione, e
quando la sua preghiera venne esaudita, si fece monaca. Tuttavia
quella nuova vita era insopportabile e quando un conte, che
frequentava il monastero, la vide e se ne invaghì, riuscì a
convincerla a fuggire con lui. Il conte la tenne con sé per qualche
tempo e una volta soddisfatte le sue voglie, la mise letteralmente
fuori dalla sua dimora, sulla strada. La fanciulla scrisse
innumerevoli lettere supplichevoli al padre, poiché al convento non
poteva e non voleva tornare, e aveva bisogno di protezione. Avrebbe
accettato di rientrare a casa anche come serva, pur di fuggire dalla
strada, dove si stava di nuovo ammalando. Il padre non le rispose
mai.
A un certo punto Marianna si appella a un
vecchissimo avvocato locale, che si intenerisce per la sua storia e
la prende in casa. La protegge e riesce addirittura a ottenere dal
conte padre la sua dote. Infine l'avvocato la sposa, e pur sapendo
che il matrimonio non verrà consumato a causa della sua età senile,
vive con lei un anno meraviglioso. Marianna, infatti, non vivrà di
più, perché il periodo trascorso sulla strada, sola e indifesa, era
stato fatale per la sua salute. L'avvocato la fa ritrarre in un
affresco della sua dimora e lì ancora si trova. Fu un esempio
d'amore puro e rispettosissimo.
Da sempre la nostra terra è culla di donne sagaci e
forti, ribelli. La dea Meduna le rappresenta molto bene. Poco
conosciuta, questa dea deve il suo nome al fiume Meduna, che
attraversa sia la terra italica che quella slava. Una dea della
fertilità, dell'acqua, rappresentava spesso come sirena due volte
caudata.
Una dea tutta da esplorare.
Grazie per questo magnifico post!
RispondiEliminaE' un vivo piacere divulgarlo.
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