L'enigma di Louisa May Alcott


La conoscete meglio come autrice di “Piccole donne” e “Piccole donne crescono”.

Un mese fa ho deciso di rileggere queste storie. Lo avevo già fatto da bambina e qualcosa mi diceva che, 20 anni dopo, avrei trovato molte nuove sfumature. Inoltre mi è stato regalato “Un moderno Mefistofele”, Robin Edizioni, il primo dei romanzi “scabrosi” della Alcott che è stato pubblicato da questa piccola casa editrice. Di conseguenza volevo rinfrescarmi la memoria riguardo agli scritti.

Prima di tutto devo dirvi che immergermi nel mondo della famiglia March è stato un toccasana. Ogni capitolo presenta una morale, o più. Si tratta di piccole perle di saggezza, ma ti gonfiano il cuore di emozione e gioia. Certo subito dopo ti fanno pensare: a tutto quello che abbiamo perduto. In quella realtà l'idea della famiglia, la virtù di uomini e donne, la volontà di costruire qualcosa di solido e la vita quotidiana costellata di duro lavoro, ma anche di tenere serate trascorse davanti a un caminetto a cucire, a parlare, a cantare o a leggere erano eventi normali, a cui tutti lavoravano per poterli rendere il più possibile gioiosi e costruttivi.
Oggi tutto questo è stato spazzato dalla velocità del mondo nel quale viviamo, dal super-lavoro e dalla tecnologia.

Ma non aprirò ora un dibattito su questo punto. Anche perché non finirei più... No, quello di cui voglio occuparmi ora è quello che secondo i critici letterari e i biografi è chiamato “L'enigma Alcott”.

Questa scrittrice ci ha regalato i quattro libri che tutti conosciamo (“Piccole donne”, “Piccole donne crescono”, “Piccoli uomini” e “I ragazzi di Jo”), che sono farciti chiaramente di fini pedagogici, mentre solo in tempi recenti, più precisamente nel 1942, due antiquarie dell'editoria, Madeleine Stern e Leona Rostenberg, fecero rinvenire dai documenti della scrittrice le fatture che attestavano il suo legame con le opere da lei considerate “da cestinare”.
La Alcott, infatti, negli ultimi anni della sua vita ordinò al nipote, curatore della sua contabilità e delle sue relazioni pubbliche, di eliminare ogni documento che l'avrebbe potuta collegare ai romanzi che aveva scritto prima e durante i quattro libri più noti, perché lei desiderava essere ricordata esclusivamente come l'autrice di questi ultimi. Ma il caso volle che dimenticasse proprio le fatture che le due antiquarie ritrovarono decenni dopo.

Perché la Alcott non voleva che la gente scoprisse che aveva scritto anche quel genere di letteratura (usando pseudonimi, o semplicemente in forma anonima)? Chi era davvero Louisa? La scrittrice didattica, oppure la scrittrice scandalistica? E perché non si sposò mai?

Non sono una critica letteraria, né una biografa, ma qualcosa mi ha colpito, mentre leggevo il secondo dei suoi romanzi ufficiali e credo che le parole scelte dalla stessa autrice valgano più di decine di congetture:

Siamo a pag. 403, capitolo “Un amico”.
Jo è a New York per lavoro, fa l'istitutrice per dei ragazzi e ha conosciuto il Prof. Bhaer, di origine tedesca, un uomo che ha quasi il doppio dei suoi anni, ma che l'ha conquistato con la sua umiltà, la sua bontà e l'enorme bagaglio di conoscenze che reca. Lui ha appena intuito che Jo è l'autrice di una serie di racconti usciti su una rivista che oggi definiremmo “spazzatura”. Vediamo cosa c'è scritto nel capitolo:
Jo, deposto il giornale, infilava l'ago per una pausa di cucito.
Ha fatto bene a gettare via quel foglio, così non cade in altre mani. Quasi preferirei che i miei ragazzi giocassero con la polvere da sparo piuttosto che leggere quella robaccia”.
Magari quella “robaccia” è più sciocca che cattiva e, se al pubblico piace, non vedo perché debba farne a meno. Ci sono molte persone rispettabili che si guadagnano da vivere scrivendo questo genere di racconti a forti tinte” replicò Jo tirando il filo con tanta energia da arricciare la piega che stava facendo.
La gente ama anche bere whisky, ma non per questo è giusto dargliene a volontà. Se quelle persone rispettabili che scrivono storie a sensazione sapessero il male che fanno, non penserebbero più che il loro è un lavoro onesto. Nessuno ha il diritto di mettere tal veleno in un vasetto di marmellata e poi lasciare che i bambini lo mangino. No, proprio no! Quelle persone dovrebbero riflettere e andare piuttosto a spazzare le strade che continuare a scrivere racconti che nascondono simili insidie”.
Si signor Bhaer aveva parlato con veemenza e con altrettanta veemenza fece volare il foglio spiegazzato sulle braci del caminetto, facendo avvampare anche le guance di Jo.

Più tardi Jo rilesse in camera quei scritti e il romanzo prosegue così:
Il professor Bhaer, quando si sentiva la vista affaticata usava di tanto in tanto gli occhiali che gli consentivano di leggere senza sforzarsi troppo e una volta Jo si era divertita a osservare come questi ingrandissero i caratteri minuti con cui venivano stampati i testi. Ora, però, le sembrava di avere sul naso non le lenti di vetro bensì quelle mentali e morali del suo amico professore ed ecco che tutto il male contenuto in quei miseri racconti le appariva chiaro e suscitava nel suo cuore un senso di profonda vergogna.
Porcherie! Sono porcherie e lo saranno sempre di più se continuo di questo passo” si disse. “Ogni racconto è peggio di quello che l'ha preceduto. Come ho potuto fare tanto male a me e agli altri senza rendermene conto? E se questa robaccia finisse nelle mani del professor Bhaer?”
Al solo pensiero inorridì. Afferrò il fascio di carte e lo infilò con decisione nella stufa. Senza neanche pensare che quella fiammata avrebbe potuto incendiare il camino.
Meglio incendiare la casa che rovinare la gente con la mia polvere da sparo”.

Siamo a pag. 491, capitolo “Sorprese”:
E a questo punto Jo sospirò.
Ed era naturale in fondo. A 25 anni sembra che i 30 segnino la fine di tutto, il che non è affatto vero se la vita dello spirito è intensa. A 25 anni una ragazza comincia a pensare di essere una zitella, ma segretamente spera che gli altri non la pensino allo stesso modo. A 30 si mette il cuore in pace, accetta la realtà e se ha un briciolo di saggezza, si consola all'idea che ha ancora davanti una ventina di anni da impiegare in tante cose, compreso l'invecchiare con dignità. Mai ridere di una zitella, perché in un cuore che batte tranquillo sotto un abito modesto si nascondono spesso delle storie romantiche o tristi. E molti sacrifici a scapito di giovinezza, salute e ambizione e amore rendono una faccia appassita bella agli occhi del Signore. Anche queste donne tristi e inacidite affrontano il loro destino con fermezza perché hanno dimenticato la parte più dolce della vita, non per altro. Sembra impossibile che un giorno siano state fanciulle in fiore, ma quando il colore sulle guance scompare, quando l'argento comincia a spruzzare i capelli, quando il pensiero dell'amore è ormai lontano e sbiadito, allora il rispetto e la tenerezza possono sostituirlo e dare un'impronta nuova a quel che resta della vita.
Gli uomini dovrebbero essere gentili con le zitelle e non fermarsi alle apparenze, perché spesso sono proprio loro ad appianare le situazioni difficili, a rendere più facile un perdono, a mantenere l'unità della famiglia. Basta ripensare a quelle zie che non solo erano pronte a rimproverare e ad agitarsi ma anche a badare ai bambini senza nessun ringraziamento, a rammendare qualche vestito con le loro vecchie mani pazienti, a fare qualche passeggiata. Bisognerebbe riservare a queste care vecchie signore, con tutta la gratitudine possibile, quelle piccole attenzioni che le donne amano ricevere finché vivono. Le ragazze sveglie sono brave a riconoscere queste caratteristiche e per questo le piacerete ancora di più; e se la morte, l'unica in grado di separare una madre dai propri figli, dovesse privarvi dei vostri, state certi che troverete rifugio nell'abbraccio materno di qualche zia Priscilla che ha tenuto il posto più affettuoso del suo vecchio cuore per “il nipotino migliore del mondo”.
Immersa nei suoi pensieri Jo era scivolata in una specie di dormiveglia (come immagino abbiano fatto i miei lettori durante questa paternale) e d'un tratto le sembrò di vedere il fantasma di Laurie in piedi davanti a lei […]

Tutti i biografi della Alcott sono concordi nel dire che Jo era il suo alter ego letterario.

Io scrivo e so quanto metto di me nei miei scritti, nei miei personaggi.

Trovo che la risposta alle domande di cui sopra le abbia fornite la stessa scrittrice. Lei voleva fare del bene ai suoi lettori, per questo cercò di eliminare gli scritti scabrosi, se non fisicamente, perché sarebbe stato possibile, almeno ogni sua maternità con essi. Probabilmente si vergognava, temeva di aver avuto la sua parte nella crescita sbagliata di qualche individuo che si era fermato a leggere quella “robaccia”.

Infine, per quanto concerne la sua singletudine, che all'epoca era chiamata zitellaggine, chissà, forse era innamorata di un uomo, ma la relazione finì male e lei decise di non riprovarci più, o di rimanere fedele a quel ricordo. Vorrei escludere l'ipotesi di un amore edipico nei riguardi del padre, un professore che all'epoca non ebbe molto successo, poiché desiderava insegnare con metodi definiti troppo audaci e mettere insieme nelle classi bianchi e neri, ricchi e poveri. Questo gli causò un forte ostracismo all'interno del mondo accademico e feroci critiche, che fecero soffrire tutta la sua famiglia. Nel Prof. Bhaer, che nei romanzi della Alcott sposa Jo, i biografi vedono chiaramente il padre della Alcott.

Sia come sia Louisa continua ad arricchirmi profondamente con i suoi romanzi. E dubito che quelli “occulti” potranno sminuire la sua grandezza ai miei occhi.

Alla fin fine, non siamo tutti fatti di luci e di ombre?

Commenti

  1. Ho letto Piccole Donne da bambina, come credo quasi tutte le femminucce dei miei tempi. E adoravo il personaggio di Jo perchè mi ci rispecchiavo molto.

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  2. @Niviane: credo che se facessimo un sondaggio tutte ci ritroveremmo ad amare Jo sopra ogni altro personaggio della saga :-D

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  3. Della Alcott, oltre a piccole donne (la saga), mi capitò di leggere Un lungo fatale inseguimento d'amore... ehm, da evitare.
    Sì, beh, come hai scritto bene, ogni persona ha delle luci e delle ombre, ciò non vuol dire che i romanzi debbano sottostare a queste regole. L'artista è una cosa, l'essere umano è un'altra... Chissà se mi sono spiegata.

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  4. Sì Any, ti sei spiegata. Però io non credo molto alla divisione uomo-artista. Per me sono la stessa cosa.

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