Presentazione del saggio “Consigli a un aspirante scrittore” di Virginia Woolf
Ieri
pomeriggio ho trascorso un'ora molto piacevole e stimolante. Sono
andata alla presentazione del suddetto saggio alla libreria Ubik di
Gorizia. Ne discutevano il curatore dell'opera, il Prof. Roberto
Bertinetti e uno dei due traduttori, il Prof. Giordano Vintaloro.
Ho
acquistato il libro solo pochi giorni fa, e dal momento che ne ho ben
sei in lettura contemporanea (il mio personale record, che mi auguro
di non superare, viste le reazioni dei miei neuroni...), non sono
ancora riuscita a terminarlo. Mi spiaceva un po' partecipare
all'incontro, perché mi avrebbe tolto il gusto della lettura
solitaria e personale, anticipandomi qualche chicca e rivelazione.
E
invece no! Sono stata fortunata. Tutto quello di cui hanno discusso i
professori, mi era già noto.
Quello
che non sapevo era la quantità di opere di Virginia, romanzi
esclusi, che il mondo editoriale inglese ha stampato nel corso di
questi anni. Parlando per sommi capi:
- Saggistica: 6 volumi da 4-600 pagine ciascuno;
- Lettere: 6 volumi da 5-600 pagine ciascuno;
- Diari: migliaia di pagine.
Non
tutto è stato tradotto in Italia, ma il Prof. Bertinetti ha spiegato
che, ogni volta che esce una parte di questa monumentale opera
woolfiana, c'è da studiare e sorprende quanto si scopre
sull'autrice. Talvolta un nuovo saggio ribalta completamente l'idea
precedente che si aveva su di lei.
Due
sono i pregiudizi più comuni e più sbagliati: che Virginia fosse
una delle madri delle femministe europee e che fosse una donna
triste.
Se
da un lato è vero ritenere che sia stata una delle più prolifiche
attiviste della rivoluzione culturale femminile, dall'altro è errato
ritenere che lo fosse anche sul piano politico. Un esempio: le
suffragette londinesi le scrissero per proporle di partecipare
attivamente alle loro campagne. Virginia rispose che tutto quello che
avrebbe potuto fare per loro era di apporre i francobolli sulle
lettere che spedivano.
Nel
saggio “Una stanza tutta per sé” illumina le donne sulla
necessità fondamentale di possedere una stanza solo per se stesse
dove creare, studiare e crescere artisticamente e/o intellettualmente
e al contempo un reddito personale, e quindi la necessità di non
dipendere economicamente da nessuno. Fu un libro molto amato e
un'apripista per migliaia di donne.
Quanto
alla tristezza della scrittrice, mostrata con tanto dolore
dall'attrice Nicole Kidman nella pellicola “Le ore” di
Cunninghan, è una vera forzatura. È vero che tentò il suicidio per
tre volte, e l'ultima ci riuscì, è vero che soffriva periodicamente
di depressione, ma è altrettanto vero che era l'anima di molti
incontri, che rideva spesso e ideava scherzi molto fantasiosi.
Mesi
fa lessi un articolo su Il Domenicale de Il Sole 24 Ore, scritto
dallo stesso Prof. Bertinetti, dove si presentava l'uscita imminente
di una nuova porzione di diari di Virginia, dai quali si evincevano
notevoli chicche. Come il fatto che divenne famosa grazie alle sue
opere, che scrisse per lunghi anni, con grande lucidità e
raziocinio, per ottenere degli introiti economici. Almeno, questo era
quanto aveva capito io. Ma ieri il professore mi ha spiegato che non
era affatto così: le opere di Virginia vennero premiate dal pubblico
fin dagli esordi e questo le fruttò buoni guadagni. Ma lei non
scrisse mai, nemmeno una parola, con un fine economico.
Inutile
dire che ho tirato un lungo sospiro di sollievo. Vivere per mesi con
la convinzione che un'autrice di così grande talento, che creò un
nuovo e fresco modo di scrivere dopo la pomposa letteratura
ottocentesca, avesse realizzato i primi romanzi con fini
materialistici, mi deprimeva non poco. Mi faceva pensare che ero una
mezza fallita, una bohemienne decadente e disperata, che scriveva
romanzi seguendo semplicemente il proprio istinto, la propria Musa,
mentre le grandi narratrici del passato si dimostravano più avvedute
e intelligenti.
Commenti
Posta un commento