Recensione: "Il quaderno di Maya" di Isabel Allende
Come molti di voi sapranno, Isabel
Allende è stata una delle autrici che mi ha condotto verso la via
della letteratura. Leggendo i suoi romanzi, fin dal primissimo “La
casa degli spiriti”, non ho potuto fare altro che pensare: voglio
riuscire a trasmettere le emozioni come lei e voglio insegnare
qualcosa, attraverso la scrittura.
A distanza di decenni, da quella
lettura, sono riuscita a pubblicare il mio romanzo, mentre Isabel non
cessava di scrivere. E insegnare.
“Il quaderno di Maya” si distanzia
dai precedenti per stile -anche se talvolta irrompe il realismo
magico tipico della cilena- e soprattutto per contenuti. Non ci sono
più le interminabili e coinvolgenti saghe famigliari, né la
prorompente sensualità dei personaggi. Gli orrori delle torture del
golpe cileno degli anni '70 del secolo scorso sono ridotte a qualche
pagina. In questo caso, la Allende ha deciso di occuparsi di
questioni più urgenti e che la riguardano in prima persona: l'alcol,
la droga e la violenza nella vita degli adolescenti. Ricordo che la
nostra scrittrice è ora nonna di diversi marmocchi e, come ogni
brava cilena, ha il culto della famiglia.
Io dico questo: se tutti riuscissero a
spiegare ai ragazzi la mostruosità delle dipendenze e delle loro
conseguenze come fa lei, non ci sarebbero più sbandati in
circolazione. Perché anche se da un lato mostra le sensazioni
dell'ebbrezza da crack, piuttosto che da eroina o lo stordimento
dell'alcol con capacità neuroscientifica, dall'altro non giudica mai
l'universo che crea, specchio della nostra realtà. C'è un filo di
compassione verso i personaggi di questa storia, ma è una
compassione tipicamente buddhista, pura e perciò non invasiva.
Questo romanzo andrebbe letto a scuola,
fin dall'ultimo anno delle medie, per quanto è coinvolgente e
istruttivo al contempo.
Ma passiamo alla trama: Maya Vidal è
una ragazza di appena 20 anni che si imbarca per un'isola sperduta
del Cile, Chiloè. È in fuga dai criminali che le stanno alle
calcagna da mesi, a causa di un brutto affare occorso a Las Vegas,
dove ha trascorso quasi un anno di non-vita, calata nell'oscurità
più turpe di alcol, droga, degrado e violenza. Ma la città più
effimera del Nevada è solo l'ultimo scoglio sul quale si è
scagliata questa ragazzina che, fin dall'adolescenza, è caduta
sempre più in basso.
Cresciuta in una famiglia agiata, ma
sfilacciata, con una nonna cilena molto pepata e un nonno
non-biologico venerato, Maya è figlia di un pilota di aerei sempre
in volo e una hostess danese che ha visto una sola volta nella vita.
Queste assenza non l'hanno turbata, fino al giorno in cui il nonno
muore, lasciando la vedova in una disperazione infinita e mostrando
alla ragazza un nuovo mondo, fatto di parenti viventi, ma sfuggenti e
un finto paradiso adolescenziale costituito da coetanee “che sanno
come divertirsi”. Presto diventa la leader di un gruppetto di tre
ragazze, una più sgangherata dell'altra, il cui massimo sballo è
prendersi gioco di pedofili che spaventano a morte e derubano.
Scherzi innocenti, se paragonati a quello che verrà dopo.
Maya “entra nelle sue stanze
interiori a combattere contro i draghi” mentre si trova a Chiloè,
grazie a un quaderno, dove ha deciso di raccontare ogni cosa del suo
lungo viaggio verso l'annichilimento. E' in quell'isola dimenticata
dalle mappe che inizia a riscoprire se stessa, parte della sua
famiglia e sembra che la natura tutta le venga in aiuto, con il
potere della sua semplicità e del tempo, che lavano le sue ferite
una per una, con la pazienza amorevole di una madre saggia.
Buona lettura.
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