La saggezza de "Le storie"
Con questo lungo post,
non voglio riferirmi alla saggezza insita nell'ascolto di aneddoti e
storie raccontate per bocca di personaggi saggi del passato, come per
esempio i dervisci. In questo caso, vorrei puntare il riflettore, per
chi non lo conoscesse, su un programma televisivo contemporaneo, “Le
storie”, di Corrado Augias e del suo ricco staff di giornalisti,
tra cui spicca il direttore Vladimiro Polchi. È un programma di Rai
Tre che stilla informazioni, stimola intuizioni e ci guida nel vasto
mondo della letteratura, della filosofia, della storia (e di molto
altro) con una scelta di libri e di autori eccezionale.
Personalmente, non ricordo un altro programma televisivo, eccetto
“Passepartout” di Philippe Daverio, tanto ricco e importante per
la Conoscenza. Sacra e profana.
Per darvi un assaggio
della grandezza che scaturisce da questa trasmissione, oggi voglio
unire il sunto di due puntate, tra le più profonde che io abbia
visto e che partono, naturalmente, dallo studio di due importanti
saggi:
- “De brevitate vitae”,
di Seneca, attualmente riedito da Einaudi;
- “Lessico Mistico -le
parole della saggezza”, del filosofo Marco Vannini, Le Lettere.
Già un programma
televisivo che ha il coraggio di aprire con le parole delfiche: Γνῶθι
σεαυτόν (Conosci te stesso) sulla sfondo del mega-schermo,
crea un piccolo shock. Sappiamo tutti cosa gira nei canali italiani,
di Stato e commerciali. Con un titolo così, per presentare il saggio
del filosofo Vannini, ci si può aspettare o un atto di superbia, o
un auto-gol, oppure una grande opportunità. Per tutti.
Lascio giudicare a voi.
Il protagonista del primo
episodio che voglio trattare, Vannini, ci parla del motto delfico:
“Io sono convinto che il richiamo della ricerca della trascendenza
non è un fatto contrario alla ragione, anzi, è un fatto che va
incontro a una ragione pienamente sviluppata. La ragione non è solo
la raison dell'Illuminismo, la dobbiamo andare a cercare molto
prima, nella filosofia greca. Infatti la ragione è il logos,
qualcosa che non è semplicemente il calcolo, l'analisi dei
fatti, ma scava profondamente dentro noi stessi. Infatti, Conosci te
stesso prosegue. La frase completa è: Conosci te stesso e conoscerai
te stesso e Dio”.
La mistica, come Vannini
la propone, è l'abbandono dell'idea falsa della mistica come
esoterismo, fumo, evocazione dei fantasmi, ecc. Egli si concentra su
un percorso che fa a meno di dogmi religiosi, realtà precostituite e
pesanti mediazioni ecclesiastiche, per arrivare alla conoscenza di se
stessi. “Ma si può aggiungere che, non solo il motto delfico, ma
anche i grandi maestri della tradizione cristiana, come Meister
Eckhart e San Giovanni della Croce, scrivono testualmente che la
conoscenza di se stessi nasce dalla conoscenza di Dio. E non è
necessario partire dal presupposto di credere in Dio: l'essenziale è
fare la ricerca di noi stessi. Quello che si trova si può chiamare
Dio, ma anche beatitudine, saggezza, luce. Non è indispensabile
partire dal credo”.
Il libro di Vannini è un
lessico, quindi un vocabolario ragionato della mistica. All'interno
del quale si illustra anche una parola particolare come: Vuoto.
Termine con un significato negativo nella Bibbia, dove non c'è
traccia di mistica, assume un significato positivo a partire dai
greci (eredi dell'insegnamento storico e neoplatonico). Il vuoto è
la condizione della purezza dell'anima, sgombra da vizi, passioni e
anche da immagini che oscurano la luce divina.
A questo punto, Augias fa
un'aggiunta: “Io le propongo un'interpretazione laica di vuoto, che
è quella degli stoici (un'anima sgombra di vizi e di passioni), che
non arrivavano a Dio, ma si fermavano prima”.
Alché il filosofo
risponde: “Anche gli stoici vanno benissimo, perché insegnano che
nell'uomo si trova la “scintilla dell'anima”. Al fondo, quando
noi siamo riusciti a fare questo vuoto (che significa liberazione,
libertà e quindi anche purezza), nel più profondo di noi stessi
troviamo la scintilla dell'anima, appunto”.
E qui io vorrei
personalmente illustrare, per chi non le conoscesse, le virtù greche
per antonomasia, quelle cioè di Platone (citate per la prima volta
ne “La Repubblica”), che costituivano il fulcro centrale
dell'etica umana:
- la temperanza,
intesa come moderazione dei desideri che, se eccessivi, sfociano
nella sregolatezza;
- il coraggio o
forza d'animo necessaria per mettere in atto i comportamenti
virtuosi;
- la saggezza, che
costituisce, come controllo delle passioni, la base di tutte le altre
virtù;
- la giustizia,
che realizza l'accordo armonico e l'equilibrio di tutte le
altre virtù presenti nell'uomo virtuoso e nello stato perfetto.
Le virtù greche
platoniche vengono poi riprese quasi nella loro interezza dal
Cristianesimo come indici di elementi essenziali all'uomo per una
vita dedicata al Bene. Da Sant'Ambrogio in poi verranno chiamate
"cardinali":
- Temperanza;
- Fortezza;
- Prudenza;
- Giustizia.
In un documento della
trasmissione, ascoltiamo un ragionamento sulla meditazione. Una
parola che viene usata e abusata anche in pubblicità, e spesso è
confusa con un'ideologia: divento yogi, musulmano, buddhista. In
realtà è uno strumento per percepire profondamente se stessi, per
sentire direttamente tutta la percezione di noi stessi, fisica ed
emozionale. Fermare la mente, attivare la consapevolezza profonda.
Plotino,
il vero maestro della mistica in Occidente, scriveva:
Monos pros monon (il solo che si rivolge al solo). Perché
dove c'è la comunità (“Una collettività non pensa”, diceva
Simone Weil, “si pensa solo da soli”) non si pensa, ma
soprattutto la collettività fa credere che la meditazione sia
rivolta a un fine, mentre invece il vuoto implica l'assenza del fine.
Là dove c'è un fine non c'è più il vuoto. E se non c'è più il
vuoto, allora non si può parlare di mistica.
Il nulla è il nihil
in latino, che approda al nichilismo filosofico. Ma il nulla è
prodotto dall'evangelica rinuncia di se stesso, ovvero dalla morte
dell'anima. Eppure in questo nulla l'anima trova se stessa.
“La ragione” prosegue
il filosofo, “non è in grado di cogliere l'intero. La ragione vede
solo pezzettini. E il vero è l'intero, non il pezzettino, come
diceva Hegel”.
Alla domanda: in che modo
si può non avere più timore della morte? Vannini risponde: “Il
timore della morte, diceva Wittgenstein, è il miglior segno di una
vita falsa, cioè cattiva. Pratichiamo la virtù, una parola quasi
scomparsa dalla nostra vita. Virtù nel senso tradizionale greco del
termine, dove si tratta di esercitare prima di tutto la temperanza,
il controllo delle passioni, non cadere vittima delle passioni. Se
facciamo questo, si può con una certa facilità eliminare anche la
paura della morte. Anzi, la presenza della morte finisce per dare a
ogni istante della vita il senso dell'eterno. Se io penso che mi è
accanto la morte, ogni istante della vita diventa luminoso”.
A questo punto, il
conduttore specifica che spesso non è la morte in se a spaventare,
ma il decesso indecoroso, la morte in seguito a sofferenze inutili.
Tant'è che lui stesso talvolta considera di portarsi appresso una
soluzione “veloce”.
Sia Augias che Vannini, a
questo punto concordano sulla fatica della morte, che non a causa si
chiama agonia. Fa paura. Ed entrambi sono concordi sulla possibilità
di un'uscita di sicurezza.
Segue una domanda su un
altro vocabolo citato nel Lessico di Vannini: l'Amore. Che ha diverse
facce: Eros (amore/desiderio), filia (amicizia), agape
(amore fraterno), karis (la benevolenza, la grazia). E poi
aggiunge che nelle lingue germaniche lieben (amore) è
etimologicamente connesso con loden (lodare) e con glauben
(credere). Ebbene, è anche grazie alla lingua che si arriva al
significato profondo e inespresso delle cose. Di queste forme di
amore, cosa si può dire? Che l'amore è la forza essenziale
dell'anima. Parte come amore per i corpi fisici, per l'amore tra
persone. E citando il Convivio di Platone si trovano anche Amore
sessuale e non solo etero, ma anche omosessuale.
Vladimiro Polchi pone
l'ultima domanda: cosa dice la Chiesa a proposito del misticismo? Per
esempio, non fa propri alcuni fenomeni mistici, come Padre Pio?
Prof. Vannini: “Noi
dobbiamo alla Chiesa cattolica e al suo tentativo di tenere sotto
controllo tutto il fenomeno spirituale, l'emarginazione reale della
mistica. Anzi, il fatto che oggi mistica suoni opposta a razionale e
rimandi a fenomeni come Padre Pio, con tutto il rispetto per la sua
figura, non ha portato a un risultato positivo. Perché ha messo da
parte la realtà vera della mistica, che è una realtà per tutti gli
uomini, per tutte le culture”.
Ho ritenuto che questo
episodio de “Le storie” si allacciasse magnificamente al
contributo successivo del Professo di Filosofia e Rettore
dell'Università di Bologna, Ivano Dionigi, che ha partecipato alla
trasmissione per commentare il “De brevitate vitae” di Seneca.
Augias ha voluto aprire
la trasmissione con questo eloquente astratto del saggio:
“Nessuno ti restituirà
più i tuoi anni,
nessuno ti renderà
un'altra volta te stesso.
La vita proseguirà lungo
la via che si è avviata
senza fermarsi, né
tornare indietro
e lo farà in silenzio,
senza rumore,
senza nulla che ti avverta
della sua velocità.
Non c'è ordine di re né
volontà di popolo
che possa prolungarla.
Correrà come è partita
il primo giorno
senza deviazioni, né
soste”.
L'antico filosofo ci
illustra che siamo noi a rendere breve la vita, perché la vita, di
per sé, non è breve, se tu la sai usare. Se tu analizzi il tempo
che sprechi negli affari, nei crediti, nelle donne, negli amanti, hai
una vita da occupato e alienato, e non da saggio. Il filosofo ci
insegna che il problema sta nell' usare bene il tempo. Riconoscere la
differenza che c'è tra il vivere e l'essere. A stare al mondo sono
capaci tutti. Il problema è come. E' l'uso del tempo.
Quello di Seneca è il
Carpe Diem di uno stoico. Quello di Orazio va sotto il segno
dell'Epicureismo. Ci si è dati da fare per criminalizzare Orazio,
soprattutto nel Cristianesimo, che invece aveva molta saggezza e
ironia. Seneca dice invece: vivi l'istante, il presente, senza
indugio.
Egli fu certamente una
figura molto controversa. Addirittura nel Medioevo pensavano che
fossero esistiti due Seneca, perché fu il consigliere di un
Principe, un filosofo, un saggio e però anche uno strozzino. Come
poteva essere saggio e, al contempo, orribile? Seneca si scuserà
scrivendo ai posteri: “Non guardate quello che faccio, quello che
dico. Io non sono un saggio, sono un filosofo, tendo alla saggezza.
Spero di arrivarci”.
Una delle sue grandi
fortune è la sua lingua, una lingua fulminante, basata sulla
sentenza. Oggi Seneca sarebbe il più grande titolante, richiesto da
tutte le agenzie.
“Nasciamo diversi,
impari e moriamo pari”, Seneca.
A questo punto Augias
mostra un documento video: il discorso agli studenti di Steve Jobs,
il 12/06/05, un discorso molto senechiano:
“Il vostro tempo è
limitato, perciò non sprecatelo vivendo la vita di qualcun altro.
Non rimanete intrappolati nei dogmi, che vi porteranno a vivere
secondo il pensiero di altre persone.
Non lasciate che il
rumore delle opinioni altrui zittisca la vostra voce interiore.
E, ancora più
importante, abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore e la
vostra intuizione: loro vi guideranno in qualche modo nel conoscere
cosa veramente vorrete diventare. Tutto il resto è secondario.
Siate affamati. Siate
folli”.
Sono consigli molto
importanti, in un mondo quasi del tutto on-line, etereo, virtuale.
Oggi alle persone non è consentito di vivere questa speranza e
questa follia? Come fanno a innamorarsi di questo presente? Fanno
fatica.
Una giovane studentessa
del pubblico pone una domanda: Come possiamo attualizzare il
messaggio di Seneca? Come possiamo noi essere padroni del nostro
tempo, in una società così veloce, liquida, per usare il termine
del sociologo Bauman?
Prof. Dionigi: “Seneca
parla di vivere il tempo presente, esaltandolo e rendendolo assoluto.
Certo per i giovani il presente non basta e non piace. È un presente
che non ha prospettive, un presente dipendente da altri, di cui non
si è proprietari. “Nessuno appartiene a se stesso” diceva
Seneca. Il problema di voi ragazzi è questo: dipendere da voi
stessi, non dagli altri. Per fortuna viviamo in una società dove non
si richiedere la morte del padre, anzi, c'è un ritorno al padre.
Chiedete al padre, al professore, al rettore, ai più grandi e saggi.
Chiedete, fatevi aiutare e costruite. Voi oggi siete deprivati del
vostro tempo. Riappropriatevene”.
Non aggiungo altro. Le
riflessioni sono tutte vostre.
Vi ricordo solo che, se siete interessati a questi due episodi e ad altri, potete rivederli on-line, quando volete, a questo indirizzo: http://www.lestorie.rai.it
Troppa carne al fuoco... Sono un'individualista nata: penso in quanto sono e sono in quanto penso!;) Mi piace molto il discorso sull'amore, e come possa "variare" a seconda delle lingue e delle culture. Che dire? Bisognerebbe riappropriarsi del proprio tempo, è un discorso lungo e ripreso da più scrittori e filosofi... fondamentalmente, parafrasando il tutto, Oscar Wilde diceva: "Meglio essere protagonisti della propria tragedia che spettatori della propria vita...". In ogni caso, "la comunità" crea pecore e uscire dal gregge non è semplice, soprattutto quando i soldi e la materia servono per vivere. Si lavora per sopravvivere. I giovani pensano di rado al tempo, in quanto non sono più abituati a ragionare. La curiosità è VITA e le istituzioni non si preoccupano di farti conoscere qualcosa che vada al di là dell'ABC e non parlo esclusivamente dei media. Faccio un esempio, l'altro giorno una professoressa all'uscita del teatro Olimpico progettato dal Palladio ha detto ai suoi allievi di 9 o 10 anni: "E' passabile? Non è così brutto?". Per me un'insegnante del genere va presa a calci nel sedere! Chi insegna non deve dare messaggi del genere! Deve trasmettere amore per l'arte, al costo di passare per fanatico! Quindi, mi domando, come si può riappropriarsi dei propri spazi se non ci si "eleva", se non si pensa a qualcosa che non sia esclcusivamente l'abitino o l'Iphone. Oggi tutti studiano, ma in pochi ascoltano la voce dell'anima. Una società senza "poesia" e testa è una società senza anima.
RispondiEliminaAugias è un mito!
:*
Come dici giustamente tu, il discorso è complesso. Questa società ha creato dei greggi, sì, che lavorano per poter 'vivere e soddisfare i propri desideri'. Ma il punto è che 'dall'alto' hanno volutamente alzato l'asticella di tutto quello che riguarda il vivere e il soddisfare i propri desideri.
RispondiEliminaE intanto devi lavorare. E non hai tempo per pensare. E quindi spendi seguendo i luccichii che ti vengono proposti. E continui a lavorare perché spendi (troppo e inutilmente). E quindi ti stressi. E pensi anche di meno.
E via così, in un circolo vizioso e interminabile.
Bisogna riprendersi il proprio tempo. Per pensare, meditare, capire. Ma soprattutto per conoscere davvero se stessi.
Senza conoscerci, non possiamo fare nulla di concretamente buono per noi stessi.