Una sconfitta che arricchisce
Lo scorso lunedì sono
andata alla premiazione del Concorso Letterario “Voci di donna”
realizzato dalla Provincia di Gorizia. Avevo partecipato con una mia
epistola a questa rassegna e, nell'e-mail che mi era arrivata pochi
giorni prima della premiazione, veniva specificato che era imperativa
la partecipazione di tutte le donne in concorso poiché, in caso
contrario, la premiazione non sarebbe stata consegnata.
E' stato emozionante
entrare in una sala piena di donne di tutte le età. Sì, perché il
concorso era rivolto sia a ragazze delle scuole medie superiori
italiane e slovene, sia alle “over 30”. E le mie sensazioni
rimbalzavano da un volto ansioso di una studentessa al sorriso tirato
di una mia coetanea.
Se pensavo di vincere?
Inizialmente sì. Perché la mia “Lettera alla madre” non può
che trovare approvazione nella maggior parte degli spiriti delle
donne, soprattutto di quelle che sono diventate mamme. Però in
seguito, durante lo svolgersi dell'evento e le dichiarazioni della
giuria, ho compreso che questo non sarebbe successo. Il motivo è
semplice: la mia lettera è molto intima e, benché trovi il consenso
di tante altre neo-mamme come me, al suo interno non ci sono
soluzioni, non ci sono proposte, non una sola risposta al tema del
concorso “Perché le donne non ce la fanno (a eguagliare il potere
degli uomini)?” Non sono andata fuori tema, anzi, ho esposto la mia
spiegazione, tuttavia la giuria avrebbe premiato chi si fosse
lanciato più in là, chi avesse proposto delle idee, dei progetti.
A quel punto mi sono
rilassata sulla mia poltrona e mi sono goduta la premiazione in sé.
E quello che ho visto ha rappresentato un altro arricchimento.
Vedete, per tanto tempo mi sono ritrovata a scuotere la testa davanti
ai comportamenti di certe ragazze adolescenti e universitarie.
Lolite, gossippare, vuote o superficiali. E' vero, è terribile
etichettare, eppure si vedono ovunque certe scene, si ascoltano certe
conversazioni che fanno rabbrividire. Invece lunedì mi sono trovata
immersa in un'altra dimensione dove c'è stata addirittura una
studentessa che ha fatto esclamare a mio marito: “Questa ha un
potenziale da Premio Nobel per la Letteratura”. E in effetti ero
orgogliosa per certe prove di straordinaria umanità e minuziosa
analisi della società -ancora maschilista- nella quale viviamo.
Queste ragazze non sono figlie delle femministe del '68: sono la
terza generazione e si vede, perché vogliono tutto: l'indipendenza,
la femminilità e la possibilità di arrivare ovunque, di essere
ambiziose e pretendere uguali diritti e onori rispetto ai maschi.
Perciò, quando è
arrivato il momento della lista dei quattro nomi delle vincitrici
“over 30”, ho applaudito di cuore. Perché anche in quel caso ci
sono state donne che hanno discusso di temi molto importanti, come
per esempio la mancata proposta nel mondo di un minuto di silenzio
per la studentesse rapite da Boko Haram.
Alla conclusione
dell'evento sono andata a ritirare il mio attestato di
partecipazione, tra l'altro compilato con il cognome scritto in modo
errato (quante volte è accaduto!):
E sono tornata a casa con
una grande consolazione: lì, in quella sala di Provincia ho
respirato la stessa aria di una cinquantina di studentesse italiane e
slovene che non si faranno mettere facilmente i piedi in testa da
nessuno e che lotteranno strenuamente per migliorare la nostra
società, non solo per se stesse e per le altre donne, ma anche per i
loro figli e gli uomini onorevoli.
Questa è l'epistola con
la quale ho partecipato al concorso:
“Lettera
alla Madre”
Gorizia,
2 aprile 2015
Cara
madre,
ti
scrivo una lettera e non so se la leggerai. Non sei mai stata una
grande lettrice. Il mio primo romanzo giace sul tuo comodino da anni
e il segnalibro si sposta di pagina in pagina lento e pigro come una
tartaruga. Sono abituata alle tue scuse: una volta è l'emicrania che
ti colpisce per intere giornate, un'altra sono le preoccupazioni che
ti infligge mio padre, un'altra ancora è colpa di quella testa calda
di mio fratello. In fondo sappiamo entrambe che non me la prendo. Noi
due ci conosciamo molto bene, o forse è più corretto ammettere che
i nostri caratteri sono agli antipodi. È così facile capirsi anche
senza parlare: è sufficiente pensare che, in quella data
circostanza, io mi comporterò esattamente all'opposto di come
faresti tu. E viceversa.
Tuttavia
eccomi qui a scriverti una lettera per spiegarti che in qualcosa
siamo identiche. C'è un punto di congiunzione tra noi, un ponte sul
quale ci possiamo incontrare in perfetta sintonia. È un ponte le cui
fondamenta si ergono sull'amore.
Vedi,
cara madre, per tutta la vita ti ho vista sgranare gli occhi con
stupore davanti alla carrellata di romanzi e saggi di cui mi nutrivo.
Non riuscivi proprio a capire da dove fosse sbucata una figlia con
una tale passione per la letteratura. Con te non c'entravo nulla. Hai
cassato qualsiasi consiglio di lettura ti abbia proposto, eppure eri
avida nel consumare riviste femminili: gossip di attori e soubrette,
le vite da sogno dei regnanti e degli oligarchi russi hanno
costituito per te un autentico rifugio, uno scrigno di brillanti e
sogni. Così come tu scuotevi la testa per mie letture, bastava che
sollevassi il capo dai tuoi giornali per vedermi tappare il naso
davanti a quelle copertine kitsch.
No
mamma, non ti sto offendendo. Se per miracolo sei arrivata fino a
questa riga, ti prego di pazientare e proseguire. So ammettere i miei
difetti e uno di questi è la grafomania.
Ti
spiegavo del ponte sul quale possiamo incontrarci: si tratta della
consapevolezza che ho acquisito dopo che sono diventata madre a mia
volta. Vedi, se prima di quel momento non capivo il perché delle tue
scelte di vita, oggi mi è tutto chiaro. Madre mia, ho trascorso
trentaquattro anni della mia vita a cercare di prendere decisioni
diametralmente opposte alle tue. D'accordo con papà tu hai accettato
di fare la casalinga e la mamma, mentre lui andava a lavorare. Per un
quarto di secolo ho vissuto in una famiglia piena di amore e
comprensione, oscurata appena da qualche lite e vizio di papà, nei
che tu eri pronta a far sparire sul nascere grazie alla tua innata
allegria e alla tua capacità di trasformare le difficoltà in
lezioni di vita, in eventi costruttivi. Eppure tutti i tuoi sforzi
non sono stati sufficienti a far ricadere sulla tua testa il muro di
illusioni sul quale hai basato la tua vita di sposa. Non appena mio
fratello e io siamo usciti di casa, papà è sprofondato nel pozzo
dei suoi vizi e tu sei stata trascinata in quell'oscura cavità dal
laccio del matrimonio e dei tuoi sacrifici.
Io
ho guardato a tutto questo con orrore e ho giurato a me stessa che
mai e poi mai avei seguito il tuo esempio: se mi fossi sposata mi
sarei mantenuta economicamente indipendente e avrei continuato a
perseguire i miei obiettivi, prima di tutto quello di affermarmi come
scrittrice. E se il mio compagno avesse avuto qualcosa da ridire,
sarebbe stato allontanato in un batter di ciglia. È stato così che
sono riuscita a formarmi una famiglia seguendo le regole che mi ero
prefissata e tutto sembrava proseguire secondo la mia tabella di
marcia. Fino alla nascita di mio figlio. Allora qualcosa è cambiato
non soltanto intorno a me, ma soprattutto dentro di me: in fondo,
molto in fondo al mio cuore, forse nella mia anima, ho capito che
l'amore che nutro per il mio bambino mi induce a una serie di rinunce
che non avrei potuto pianificare prima della sua comparsa. Anzitutto
ho dovuto rallentare la mia vita: se prima di lui mi ero imposta
obiettivi precisi per raggiungere i miei fini artistici, già nella
fase di puerperio mi sono resa conto che avrei dovuto elidere molti
impegni e mentre depennavo uno dopo l'altro gli appuntamenti, gli
incontri in libreria, i giorni di ricerche in biblioteca, osservavo
mio marito proseguire con i suoi. Anzi, mi sembrava che le sue
incombenze di libero professionista fossero inversamente
proporzionali alle mie. Malgrado questo non riuscivo a provare
rancore nei suoi riguardi, perché appena posavo gli occhi su nostro
figlio mi rendevo conto che i miei sentimenti per quel caldo fagotto
che avevo messo al mondo erano talmente grandi da sopperire alla
delusione per tutto ciò a cui dovevo abdicare. È vero, ogni donna è
diversa e un'altra al posto mio avrebbe scelto di affidare il pargolo
a un familiare o a una baby-sitter. Io no, io ho voluto mio figlio
con tutta me stessa e dal momento in cui ha cominciato a crescere
dentro di me ho saputo che lui sarebbe venuto prima di ogni altra
cosa o persona, perché avevo deciso di assumermi una responsabilità
per entrambi: quella di farlo nascere, tra l'altro, in un mondo non
esattamente idilliaco. E allora avrei dovuto fare tutto ciò che era
nelle mie possibilità per non fargli mancare nulla, né a livello
affettivo, né economico. Una scelta soggettiva, certo, ma ritengo
che il dato oggettivo, quello cioè che accomuna ogni donna che
diventa madre, è che prima o poi si compiono rinunce per i propri
figli che gli uomini, talvolta gli stessi padri delle nostre
creature, non farebbero mai.
È
questo che ho capito, madre: noi donne rimaniamo indietro in questa
società anzitutto per amore. Che si tratti dell'amore per un figlio,
per un uomo o per un'ideale, il modo in cui noi viviamo questo
sentimento è totalizzante e ci induce a rivedere i nostri progetti,
le nostre ambizioni e i nostri sogni per proteggere, nutrire e non
deludere coloro che amiamo. La mia esperienza e quella di tutte le
mie amiche mi ha fatto comprendere che una donna sceglie di non
lottare, oppure di posticipare i suoi sforzi per emergere nel mondo
del lavoro, in capo artistico o accademico e sovente perde la partita
perché nel frattempo gli anni passano, i suoi studi diventano
obsoleti, le sue gavette ridicole e lei stessa perde il coraggio e la
fiducia nei suoi sogni dopo che ha visto gli altri andare avanti e
raggiungere i loro obiettivi, mentre a lei tocca ricominciare dal
punto di partenza. E la politica cosa fa, in questo quadro desolante?
Nulla. Non ci sono reali offerte di sostegno alle neo-mamme,
figuriamoci per coloro che stanno crescendo bambini più grandi.
Vedi
quanto è ingiusta la nostra condizione, rispetto a quella degli
uomini? L'amore che ci contraddistingue, l'energia che mettiamo
quotidianamente nell'occuparci dei nostri figli, di nostro marito,
della casa e della nostra comunità è la stessa che ci inchioda
all'altare delle rinunce. E nessuno viene in nostro soccorso, eccetto
quelle donne che capiscono la nostra condizione e non si sono
imbruttite interiormente, logorate dalle loro stesse delusioni e
amarezze.
La
verità, madre, è che noi donne siamo splendide farfalle con ali di
metallo.
Ed
eccomi qui, accanto a te, sul nostro ponte. Ti prendo la mano e ti
guardo negli occhi. Ti sorrido e ti chiedo perdono. Perdonami, se
puoi, per tutte le volte che ti ho denigrato. Perdonami per averti
sbattuto in faccia con una forza che talvolta rasentava la violenza
le scelte diametralmente opposte alle tue. Oggi voglio dirti che ti
capisco, ora io so che tutto quello a cui hai rinunciato è stato
dettato dal tuo immenso amore per tutti noi e che le tue letture, che
io consideravo puerili, erano il tuo unico rimedio per uscire da una
routine logorante, dalle disillusioni e dai problemi, per spiegare
nuove ali e addentrarti in altre vite, dove i sogni si coronano e non
vengono trascinati sul fondo di un pozzo.
Ti
amo,
Tua figlia
Bellissima la tua lettera, bella, vera e toccante!
RispondiEliminaGrazie cara, so che anche tu puoi sentirla "tua".
EliminaComplimenti Nataša,una lettera molto toccante!
RispondiEliminaTi ringrazio. E' uscita di pancia, subendo bel pochi ritocchi, perciò è esattamente lo specchio di quello che provo.
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