Recensione: “Il giardino di Elisabeth”, Elisabeth von Arnim, Bollati Boringhieri


Ecco qui un diario romanzato della letteratura inglese, della scrittrice Mary Annette Beauchamp (Elisabeth von Arnim fu uno dei suoi pseudonimi), il cui titolo originale è: “Elisabeth and her German garden”. Lo scrisse mentre era sposata al ricco figlio adottivo di Cosima Wagner, Henning August von Arnim-Schlagenthin e insieme vivevano in Pomerania (oggi Polonia) e conduceva uno stile di vita in tutto e per tutto teutonico.
Ho deciso di iniziare a leggere le opere di questa scrittrice, nata a fine '800 in Australia da una famiglia della borghesia coloniale inglese, in seguito a un articolo di Natalia Aspesi su La Repubblica, dove si sprecava in elogi per la nostra dama, vessata da un marito che qui definisce l'Uomo della Collera, tre deliziose figliolette che le strattonano e la vogliono tutta per sé, togliendole così tempo all'amato giardino e, infine, tutto il resto della società, che pretende di trovare in lei una perfetta signora di buona famiglia, aperta a feste e banchetti luculliani.
Ma Elisabeth è tutt'altro che una donna capace di accettare le condizioni restrittive della società della sua epoca ed è talmente innamorata della vita e delle piccole gioie che ha imparato a scovare nel suo giardino, da scrivere che insegnerà alle sue figlie da cambiare tutto, della propria esistenza, qualora si sentissero infelici.
Questa è una delle qualità di Elisabeth, di cui mi sono innamorata: per lei la vita è già di per sé un tale enorme dono, che non va sprecata in ciò che ci rende infelici e, se proprio le cose si mettono male via, si cambia, si ricomincia!
E lei lo ha fatto. Oh, se lo ha fatto.
Ma tornando al libro, vi cito alcune frasi che mi hanno davvero fatta gongolare:
- “Meglio essere messi alla prova dalle piante che dalle persone”.
Qui c'è l'essenza stessa di questo libro. L'amore che Elisabeth nutre per il suo giardino è immenso. Da esso trae linfa vitale per la propria esistenza, mentre cerca di evitare la maggioranza delle persone, per quanto più possibile.
- “I parenti sono come le spezie: utili, talvolta, e perfino piacevoli, se presi in piccole quantità e di tanto in tanto, ma spaventosamente esiziali nel complesso, e chi è saggi davvero li evita”, frase dell'amica Irais.
Già vedo mio marito che annuisce con convinzione!
- “La sporcizia è come la cattiveria: non importa che ci sia, è solo quando si mostra tanto da essere evidente agli occhi di tutti che ce ne vergogniamo” frase dell'amica Irais.
Qui ho sorriso di gusto.
- “La loro stupefacente vanità le porta a bersi adulazioni tanto grossolane da costituire un insulto, e gli uomini saranno sempre pronti a dire il numero preciso di bugie che una donna è disposta ad ascoltare…” frase dell'Uomo della collega, in riferimento alle donne.
Invece qui ho avuto il disgusto. Ora apriamo non una porta, ma un portone! Come ha fatto Elisabeth a sopportare tanto a lungo un uomo che la pensava in questo modo? Certo all'epoca era l'idea della maggioranza degli uomini, ma di certo io avrei preferito morire zitella, piuttosto che dormire nello stesso letto con un essere simile. O no?!
- “Tutti gli uomini che lavorano qui da marzo a dicembre sono russi e polacchi, o un miscuglio dei due…Arrivano con i loro fagotti, uomini, donne e bambini... Da noi prendono un marco e mezzo o due marchi e tutte le patate che sono capaci di mangiare. Le donne prendono di meno, non perché lavorino meno, ma perché sono donne e non devono essere incoraggiate... Comunque non sono ancora riuscita a persuadermi che le donne siano felici. Devono sopportare un lavoro duro al pari degli uomini,… devono far figli… E’ cosa del tutto usuale vederle lavorare nei campi al mattino, e lavorare di nuovo al pomeriggio, avendo nel frattempo partorito un bambino. Il neonato è lasciato a una vecchia il cui compito è badare collettivamente a tutti quanti i bambini”.
In questo caso Elisabeth narra le terribili condizioni dei migranti stagionali, e soprattutto a quella delle loro donne. A qualunque persona, oggi, si stringerebbe il cuore, considerando una crudeltà simile, invece ecco cosa racconta l'Uomo della Collera alla moglie, subito dopo quella visione:
-   “Credi che il marito intellettuale, lottando intellettualmente con le smanie caotiche della sua intellettuale moglie, raggiunga mai il risultato a cui tende? Lui può lottare e continua a lottare finché è stanco, ma non gli riesce neanche un poco di convincerla della sua follia; mentre quel suo fratello (l'uomo medio dell'est che picchia la moglie ogni giorno) ha risolto tutta la questione in meno tempo di quello che ci vuole a parlarne. Non c'è dubbio che queste povere donne ottemperino alla loro vocazione in modo più compiuto delle donne della nostra classe sociale e, dal momento che la felicità più vera consiste nel trovare in fretta la propria vocazione e nel continuare a seguirla per tutti i giorni che la vita ci dà, ritengo che siano più da invidiare che da compiangere, dal momento che l'impossibilità di discutere con i muscoli del marito insegna loro presto che lo sforzo femminile è impotente e quale benedizione sia accontentarsi. Queste donne accettano le botte che gli spettano con una semplicità degna di lode, e lungi dal considerarsi insultate, ammirano la forza e l'energia dell'uomo che è in grado di somministrare rimproveri così eloquenti. In Russia non solo un uomo può picchiare sue moglie, ma è scritto nel catechismo e lo si insegna ai ragazzi al momento della cresima che è cosa necessaria almeno una volta alla settimana, sia che lei si sia resa o meno colpevole di qualcosa, per la felicità e il benessere generale”.
Non credo sia necessario commentare questa eresia. Si commenta da sola. Eppure, ancora oggi, al mondo, esistono Paesi il cui pensiero non si discosta affatto dall'Uomo della Collera.
È da frasi come queste che si percepisce la profondità del diario di Elisabeth. Da un lato un esercizio di stile e un raffinato ed etereo tributo al giardinaggio; dall'altro una viva testimonianza degli usi e dei costumi dell'epoca e la biografia di una donna che ha saputo scegliere e andare controcorrente. E molto lontano.

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