Recensione: "Kafka sulla spiaggia", Murakami Haruki, Einaudi


La prova del fuoco è stata superata: ho letto il mio primo romanzo di letteratura giapponese contemporanea.
Conclusione: ne sto comprando ancora, ancora e ancora. In particolare di questo autore. Mi avevano detto che Murakami, scrittore in odore di Nobel per la Letteratura da anni, fosse una di quelle perle rare che ti portano ad ammirarle nel più assoluto silenzio, magari chiudendoti in casa per giorni interi, fino a quando non hai concluso i suoi romanzi (giuro, ci sono lettori murakamiani che dicono di fare proprio così!). Ma lo ammetto: ha superato tutte le mie aspettative.
La storia non appartiene a un solo personaggio, ma ruota intorno a lui, il Kafka in copertina, ovvero Tamura Kafka, un ragazzino che allo scoccare del quindicesimo anno di età, decide di andarsene di casa, abbandonando il padre scultore e artista assente, alla ricerca della madre e della sorella, scappate di casa quando lui aveva solo 4 anni. Ma Tamura Kafka segue la loro scia soprattutto per una ricerca interiore. Quello non è nemmeno il suo vero nome, l'ha addottato lui, per sfuggire alle ricerche che certamente suo padre avrebbe iniziato, ma anche in onore del ragazzo chiamato Corvo che gli parla fin da quando era un bambino e sembra averlo cresciuto e preparato a molti degli eventi che si succederanno nei giorni di vagabondaggio narrati nel romanzo.
Kafka, infatti, viaggia lungo tutto il Giappone, per giungere in un paesino dove è sita la biblioteca privata di Komura. Lì incontrarerà un amico, Oshima, dipendente della biblioteca e la sua direttrice, la misteriosa signora Saeki, che da giovane ottenne uno straordinario successo con una canzone cantata al pianoforte, "Kafka sulla spiaggia", appunto.
Un personaggio indimenticabile, che si intreccerà con la trama di tutte queste vite, è l'anziano signor Nakata, un artigiano di mobili tradizionali giapponesi che da anni vive grazie a un sussidio del 'Governatore'. Nakata, parlando di sè, dice di essere uno stupido. Fino ai 9 anni era un bambino come tutti gli altri, ma un incidente inspiegabile, occorso durante una gita di classe in montagna, a raccogliere funghi, lo indusse in un profondo sonno in seguito al quale si risvegliò con la memoria completamente vuota. Tuttavia Nakata è stato un bravissimo lavoratore e ha la capacità straordinaria di parlare con i gatti, un segreto che tiene per sè, ma che sfrutta per guadagnare qualche soldo in più. Difatti da anni offre la sua disponibilità per cercare i gatti che scompaiono dal vicinato e ha sempre successo (chissà perché). Mentre cerca l'ultimo scomparso, Goma, però, si imbatte in Jhonny Walker, l'uomo che crea flauti magici con le anime dei gatti e che cambierà il corso del suo destino.
Il romanzo è imperdibile. Molto onirico e raffinato. Spiega molto della cultura giapponese, anche di quella letteraria (e infatti mi sono presa nota di molti degli autori citati). E', per certi aspetti, anche un romanzo fantastico. A meno che non si voglia leggerlo conoscendo i simboli della religione shintoista. Ecco, l'unica pecca che gli trovo è questa: ho chiuso il libro con un po' di amaro in bocca. Perché l'ho adorato, ma ho capito di non averlo compreso fino in fondo. Probabilmente a un giapponese è chiaro come per noi leggere Italo Calvino. Ma per un occidentale non può essere lo stesso. Cosa ne sappiamo noi, di spiriti viventi, per esempio? Oh, beh, Murakami spiega cosa sono, mentre ne scrive. Ma tutto il resto? Il potere misterioso delle pietre?
Ecco, forse leggere un buon saggio sullo shintoismo, prima di avventurarsi nella letteratura giapponese classica e contemporanea, sarebbe una buona cosa.

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