Il Novecento della mia infanzia


Qualche giorno dopo la presentazione del mio romanzo nel paese dove sono cresciuta, Terzo di Aquileia, ho iniziato a pensare ai volti che ho rivisto, a distanza di dieci, anche vent'anni. Molti di essi appartengono agli amici di mio fratello. Erano suoi compagni di classe o amici “di baldoria”, che passavano spesso da casa nostra e quindi mi conoscevano.
Al buffet dopo la presentazione, mi sono fermata a parlare con uno di loro in particolare e il discorso, a un certo punto, è caduto sulla splendida semplicità di quegli anni.
Ci ho pensato e ripensato, dopo quell'incontro e arrivo sempre alle stesse conclusioni: è vero, fino agli ultimi anni del Novecento le nostre vite erano davvero più serene, ilari e lente di oggi.
Talvolta tendiamo a confondere e idealizzare gli anni (quasi sempre) più dolci delle nostre esistenze. Perché eravamo con la nostra famiglia, nel nostro nido, studiavamo e non lavoravamo, uscivamo con le nostre “comitive” e non avevamo (grosse) responsabilità. Sì, accade spesso di dipingere quegli anni con toni più luminosi di quelli che erano davvero. Eppure, pensiamoci un attimo: come eravamo senza cellulari, portatili, tablet e internet? Senza blog, Facebook e Twitter?
C'è poco da fare, ma la prima risposta che mi viene è che eravamo meno nevrotici e più rilassati. Più disincantati e meno irascibili!
Com'è potuto cambiare tutto in sole due decadi?
E poi non mi vengano a dire che la tecnologia non influisce sull'uomo.
Certo, dovrebbe servirci come uno strumento, per aiutarci a fare ricerca, a tenere i contatti con le persone, anche lontane. Ma quasi sempre noi ne diventiamo schiavi. Succubi.
Quando ero una ragazzina trascorrevo ore con le mie amichette, senza interruzioni esterne come sms, mms, e-mail e notifiche di Facebook. I nostri discorsi e giochi scorrevano come acqua fresca, non subivano interruzioni.
Oggi, invece, anche a cena con gli amici c'è sempre qualcuno che dà una gomitata all'altro per dirgli: “Guarda, ti mostro una foto su Facebook”.
Lavoriamo al computer e abbiamo sempre la finestra di un social network aperta. Usciamo a fare la spesa e rispondiamo agli sms. Partiamo on the road e invece di ammirare il panorama, ci squilla il cellulare e ci distraiamo ogni momento.
Che ne è delle lunghe chiacchierate notturne? Delle confidenze madre-figlia? Delle scorribande tra amici? Degli incontri con nuove persone nei locali?
Tutti sanno tutto, o meglio, fingono di sapere tutto. C'è Wikipedia tutti hanno sempre una fretta del diavolo. Ti guardano, mentre gli parli, ma sai già che nella loro testa sono altrove, o ti dicono sorridendo: “Continua pure a raccontare, riesco a seguirti anche mentre rispondo a un messaggio”.
C'è sempre qualcuno in mezzo ai rapporti col prossimo. E quel qualcuno è un aggeggio tecnologico.
Io posso chiudere gli occhi e ricordare quanto era piacevole poltrire tra i rami del Signor Gelso, mentre il vento zigzagava tra le fronde per scompigliarmi i capelli. Posso riportare alla mente le guerre di gavettoni in piena estate, così come le scampagnate a braccetto con le amiche in mezzo ai campi, al calar del sole e le grigliate in veranda.
Quanti, tra le nuove generazioni, possono fare lo stesso?

Commenti

  1. il progresso-regresso passa anche per questi cambiamenti! ad essere sincero a volte mi anuseo di tutto questa multimedialità, perchè appunto penso al passato. però poi mi accorgo che anche io, sempre un po' restio alle novità tecnologiche (anche se poi le acquisico e le ritrovo utili)ormai mi ritrovo troppo nevrotico-dipendente!

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  2. Devil, è proprio questo nevrotico-dipendente ad allontanarci dalla vita normale, dallo scorrere lento del tempo, così come anche tu, certamente, lo ricorderai.
    Io non dico di fare a meno della tecnologia. Ci facilità così tanto la vita. Ma suggerisco solo di usarla esclusivamente per quella che è: uno strumento.

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